Ha rafforzato Cosa nostra, sostenendo l’organizzazione con le proprie risorse economiche e mettendo a disposizione dei clan anche il suo ruolo politico. È l’atto d’accusa della procura generale di Palermo contro Antonio D’Alì, senatore di Forza Italia ed ex sottosegretario del ministero dell’Interno, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa davanti alla corte d’appello di Palermo. Secondo il pg Nico Gozzo, il politico trapanese “ha contribuito fattivamente al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dell’associazione mafiosa le proprie risorse economiche e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato, nonché intrattenendo, sin dai primi anni Novanta, anche ai fini della ricerca e dell’acquisizione di sostegno elettorale e a fronte del richiesto appoggio, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell’organizzazione”.

Il 30 settembre del 2013 il gup di Palermo aveva dichiarato il non luogo a procedere per D’Alì “fino a epoca successiva e prossima al 10 gennaio 1994 perché estinto per prescrizione” mentre lo aveva assolto per le imputazioni successive a quella data. Adesso il pg Gozzo ha depositato una memoria di 29 pagine alla corte d’appello in cui ripercorre la vicenda giudiziaria del senatore berlusconiano: l’accusa ha chiesto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale presentando una serie di richieste di acquisizione atti, documenti, intercettazioni, note di Pg, audizioni di numerose persone.

In particolare, secondo l’accusa, D’Alì, avrebbe “messo a disposizione di Cosa nostra il suo ruolo istituzionale” per “favorire le aziende mafiose operanti nella provincia di Trapani nel settore del calcestruzzo, a detrimento dell’azienda confiscata Calcestruzzi ericinà”. Non solo. D’Alì avrebbe voluto il trasferimento dell’ex prefetto Fulvio Sodano e dell’allora capo della Squadra mobile Giuseppe Linares, oggi a capo della Dia di Napoli “e in generale di funzionari dello Stato che mettevano in difficoltà Cosa nostra nel trapanese, su richiesta della stessa associazione criminale”.

Il tema del trasferimento degli investigatori sgraditi è stato affrontato anche dall’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, che interrogato da Gozzo, ha sottolineato di avere parlato con il senatore d’Alì del trasferimento di Linares. “Focalizzo questo mio ricordo – ha detto De Gennaro nell’interrogatorio – sicuramente dopo la conclusione della procedura per l’eventuale trasferimento del dottor Linares. D’Alì mi chiese di sapere quale fosse lo stato della pratica relativa al possibile trasferimento di Linares, in relazione alla sua condizione di esposizione a rischio. Io risposi che il procedimento si era concluso sulla base delle valutazioni pervenute dalla prefettura di Trapani che aveva concluso per la non necessità di provvedimenti di trasferimento. D’Alì prese atto di questa mia risposta e non mi disse null’altro”.

Secondo la procura generale “è chiaro il tentativo dell’allora sottosegretario di influire con tutto il suo peso politico sulla procedura di trasferimento di Linares, come aveva già fatto con il prefetto Sodano. Tutto si concluse negativamente solo perché D’Alì venne stoppato anche dall’allora capo della Polizia che aveva assunto una ferma posizione”. “Gli atti processuali escludono, senza ombra di dubbio, qualsiasi interferenza o pressione presso i vertici della polizia da parte del senatore D’Alì finalizzata al trasferimento del dottore Linares. Per tale ragione, escludiamo ogni pretesa valenza accusatoria della produzione della procura generale, considerato che le dichiarazioni rilasciate dall’ex capo della Polizia De Gennaro, sia a noi Difensori che al Procuratore Generale, rappresentano piuttosto la prova documentale dell’assoluta correttezza ed estraneità ai fatti del D’Alì”, spiegano invece i legali dell’ex sottosegretario.  L’accusa ha chiesto l’audizione di Gianni De Gennaro, del sacerdote Antonino Treppiedi e del collaboratore di giustizia Antonino Birrittella.

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