L’identità femminile è sempre stata vincolata al ruolo materno. Una donna che non ha figli viene spesso sempre guardata con commiserazione, come fosse difettata; se poi quella di non riprodursi è una libera scelta, allora viene percepita come frutto di una natura cattiva, essere una “contro natura”. La scrittrice e filosofa francese Elisabeth Badinter, agli inizi degli anni Ottanta pubblicava un’opera che avrebbe sovvertito il modo di pensare la maternità ridefinendo la stessa identità femminile. Ripercorrendo la storia degli ultimi secoli con riferimenti culturali e letterari, la Badinter mette in discussione l’istinto materno affermando che è un istinto-bisogno eteroindotto e che il concetto di amore è solo un sentimento umano e, in quanto tale, in evoluzione. In sostanza afferma che nell’evento della maternità non ci sia niente di così naturale e che l’amore materno – con una definizione che sembra una provocazione e che dà il titolo al suo libro – sia “l’amore in più”. E lo dice da donna che ha avuto tre figli.
Molte donne, intellettuali e non, oggi si interrogano su cosa sia veramente l’istinto materno. Si ha la percezione che chi sceglie la maternità lo faccia con una consapevolezza maggiore e non come un inderogabile evento naturale o obbligo sociale. Una scelta, per l’appunto. Come quella di decidere di non avere figli: in America, dove è nato il fenomeno, le chiamano child-free, letteralmente “libero da figli”. Sono sempre più numerose e pare che negli ultimi venti anni nel mondo occidentale siano decuplicate e in continuo aumento. Sono donne, per le quali quali un figlio non è più la priorità e non hanno più paura di dichiararlo. Donne che non sentono questo tanto celebrato e sacralizzato istinto materno.
L’antropologa americana Sarah Blaffer Hrdy, nel suo libro “Istinto materno” documenta che tale “istinto” è un’invenzione degli scienziati al tempo della Regina Vittoria, e afferma che la nozione di istinto materno inteso come spirito di sacrificio, dedizione e abnegazione, sia un mito e una grande mistificazione. Il dibattito è animato: all’inizio di quest’anno in America è uscito il libro “Egoisti, superficiali ed egocentrici” – sedici scrittori sulla decisione di non avere figli“, autrice Megan Daum, editorialsta del Los Angeles Times che interroga sedici scrittori sulla loro scelta. Il fenomeno è anche oggetto di rappresentazione cinematografica: nella serie televisiva House of Cards, Claire e Frank Underwood, rispettivamente Robin Wright e Kevin Spacey, si sono promessi “libertà dai figli”.
Il confronto sul tema si anima anche in Italia: il sito dedicato, Lunàdigas – parola sarda che rimanda alle pecore che non si riproducono per via della “luna storta” – raccoglie testimonianze di donne che, anche se in coppia, hanno deciso di non avere figli spiegandone le motivazioni.
Con l’emancipazione femminile la fabula della vita di una donna è mutata e la maternità si declina per ognuna in modi e tempi diversi. Anche nella decisione di non riprodursi. Nel bel libro di Serena Marchi uscito quest’anno – Madri, comunque, edito da Fandango – sono raccolti trenta ritratti femminili (donne che hanno abortito, madri che hanno dato l’utero in affitto, madri adottive, madri pentite, donne che hanno scelto di non avere figli) che con le loro storie vere cercano di demolire lo stereotipo della maternità.
Dice Manuela nel racconto dal titolo No grazie: “Quando dico che io non ho figli, ecco partire il ciak: gli occhi di chi ho davanti si rattristano, le rughe si accentuano e le labbra sussurrano un: «Ah, mi spiace». Io ci resto sempre un po’ così, perplessa. Perché a me non dispiace affatto. Io ho voluto non diventare madre. Ma nessuno ci crede. Mi chiamo Manuela, ho cinquant’anni, mi sono sposata molto giovane e la mia vita è sempre stata una questione di scelte”.