Il “Porco” è untuoso e avanti con l’età, ha gli “occhi acquosi” e il “mento a tre strati”. Le tocca sempre una spalla, la abbraccia, la invita sempre a cena, le fa balenare un futuro nel mondo del giornalismo solo se è disposta a stargli vicino, toccarlo, andare a letto con lui. Poi quando lei si lamenta, si oppone, o semplicemente si irrigidisce, lui s’incazza, e il futuro professionale promesso sparisce in un amen. La lei che subisce ogni genere di violenza fisica e mentale è Olga Ricci, nome fittizio dell’autrice di Toglimi le mani di dosso (Chiarelettere), il doloroso romanzo che riassume umiliazione e destino di una ragazza che tenta di fare la giornalista senza spinte e raccomandazioni, ma che deve subire le ripetute avances del direttore.
Esperienza paradigmatica (e vera) raccontata in parte da un paio d’anni dietro al nom de plume di Olga su un seguitissimo blog, su cui sono state raccolte decine di testimonianze in forma di post di altre donne che sono state vessate sul luogo di lavoro dai propri capi in quanto donne. “In Italia c’è un silenzio assordante sul fenomeno delle molestie e della violenza sul lavoro. Me ne sono resa conto quando, per elaborare la mia ‘esperienza’ personale ho dovuto cercare materiale in inglese perché in italiano non ne trovavo. Così ho scoperto che negli Stati Uniti sono quasi quarant’anni che si occupano del problema”, spiega Olga Ricci a FQMagazine. “Catharine MacKinnon, avvocata e attivista femminista americana, autrice di Sexual Harassment of Working Women, non tradotto in italiano, ha impostato il quadro giuridico di riferimento negli Usa per il riconoscimento delle molestie sessuali sul lavoro come reato. Secondo l’autrice, le molestie sono un sopruso e contribuiscono a mantenere le donne in una posizione subalterna. Non devono essere interpretate come “incidenti” isolati e personali, ma come un problema sociale, che riguarda le donne in quanto donne, cioè appartenenti al genere femminile. Per questo motivo, le molestie vanno considerate addirittura oltre l’abuso, l’umiliazione e l’oppressione di ciascuna vittima: costituiscono una vera e propria discriminazione sessuale, lesiva per tutta la società”.
Toglimi le mani di dosso è un libro sofferto, l’agnizione pratica dell’essere sottomessi all’autorità ottusa e alle consuetudini sessiste, un biopic che gronda desiderio di giustizia e vendetta, ma che s’infrange sempre in un singulto di rivolta continuamente rimandato. “Dopo avere studiato la MacKinnon e altre sociologhe ho capito che quello che avevo passato andava raccontato. Stare zitta avrebbe significato essere complice del sistema. Il blog mi ha fatto capire che non ero sola, come avevo creduto per molto tempo”, continua la Ricci. “C’era e c’è bisogno di fare chiarezza su temi come quello delle violenza sul lavoro, della precarietà e della discriminazione. Grazie al confronto con chi mi ha seguita e agli incoraggiamenti delle lettrici e dei lettori del blog ho trovato la forza per andare avanti, anche col lavoro, nonostante le difficoltà, per non darmi per vinta. Perché, nonostante tutto, continuo a fare la giornalista anche se fatico ad arrivare alla fine del mese”.
Il romanzo della Ricci ha poi un ulteriore pregio: contestualizzare la vessazione sessista in un mondo, quello del giornalismo italiano, che sembra davvero umanamente irrecuperabile, fatto di precariato perenne, figli di papà, “lecchini” e “mummie” (quei pensionati che continuano a scrivere facendosi pagare profumatamente); “fascisti” o “benpensanti di sinistra” ai comandi nessuno fa nulla, o meglio tutti toccano, palpano, ricattano, tiranneggiano, offendono: “Nei templi della notizia le relazioni sono fatte di materiali tossici”, è scritto nel romanzo. “Secondo l’FNSI ci sono solo 5 donne a dirigere quotidiani mentre sono 113 gli uomini che li dirigono”, prosegue l’autrice. “Cinque le donne vicedirettore di quotidiani contro 99 uomini; 67 redattore-capo contro 477; 65% per cento: donne giornaliste rimaste dentro le aziende editoriali a seguito di stati di crisi di cui solo il 30% ha un contratto e tutte le altre sono precarie. Serve aggiungere altro per definire che il potere, nel giornalismo, è ancora maschile?”.
Anche se il sassolino nello stagno gettato da “Olga” con blog e libro sembra come riverberarsi nel vuoto dell’indifferenza di una macchina dell’informazione, e del lavoro in genere, che corre a mille: “Secondo l’Istat il 99,3% dei ricatti sessuali sul lavoro non vengono segnalati. Le vittime non ricorrono alla legge per motivi diversi: paura, vergogna, imbarazzo, timore di essere trattate male, assenza di fiducia nelle forze dell’ordine, mancanza di prove. Per sottrarsi alla situazione di violenza, la maggior parte delle donne lascia il posto. Bisogna tenere presente che è difficile riuscire a dimostrare la violenza sul lavoro. Di solito, infatti, le molestie sessuali e i ricatti avvengono in assenza di testimoni, sono costruite nel tempo come somma di piccole azioni apparentemente “inoffensive”, non sono del tutto esplicite. Perfino in caso di ricatti chiari, una registrazione ambientale non costituisce di per sé una prova decisiva, a meno che non sia stata fatta dalle forze dell’ordine. Se è una registrazione fai da te resta un elemento che certamente può essere considerato dal giudice, ma non è risolutivo”. Come suggerisce la Ricci sempre negli Stati Uniti qualcosa è cambiato: “Per evitare problemi la multinazionale American Apparel ha di recente introdotto regole più ferree per contrastare le molestie sessuali. Nei mesi scorsi il fondatore ed ex numero uno di Apparel è stato travolto da uno scandalo per le accuse di alcune dipendenti. La società, dopo una serie di verifiche, lo ha licenziato e ha proibito ogni tipo di relazione sessuale e amorosa, inclusi gli appuntamenti fuori dal posto di lavoro, tra manager e dipendenti. È prassi che nelle società americane non siano ammesse formalmente le relazioni interpersonali private che possono portare ad abusi di potere”.
“Vorrei che il libro portasse chi gestisce il potere commettendo abusi, oppure tollerandoli, a pensare che forse, prossimamente, non la passerà liscia perché ci saranno donne pronte a denunciarli – conclude l’autrice – Vorrei che chi subisce fosse pronta a dire basta. Vorrei che altre donne iniziassero a raccontare e smascherare chi commette abusi e violenze. Vorrei che si capisse che il cambiamento da mettere in atto riguarda tutta la società e non solo le donne. Questa non è una questione femminile, riguarda soprattutto gli uomini. Ma la strada per arrivare anche solo a una vaga presa di coscienza è ancora lunga. Di recente il direttore di un quotidiano nazionale ha patteggiato una condanna per molestie sessuali. Ho saputo della notizia per via traverse. Non l’ho letta su nessun giornale. Perché?”.