L’Europa torna al passato con la costruzione di un centinaio di centrali elettriche alimentate a carbone. Per la precisione sono 110 i nuovi impianti previsti in soli quattordici Paesi europei, di cui 75 nella Turchia di Erdogan, nota per la sua sbalorditiva (e infrenabile) cementificazione del Paese. Otto invece quelle previste in Bosnia ed Erzegovina, sette in Polonia, quattro in Serbia e in Germania, due in Romania e una in Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Regno Unito. E infine una anche in Italia: è la Sulcis Power Station, un impianto da 350 megawatt da realizzare proprio a Sulcis, nella Sardegna sud occidentale, dove si trova l’unica risorsa carbonifera italiana. Un bacino dove l’attività estrattiva si era fermata nel 1972, per poi riprendere nei primi anni Duemila con la scoperta di un “nuovo” carbone: il carbone pulito. Un ossimoro, che indica in realtà solo una nuova modalità di trattamento del combustibile fossile; la stessa che dovrebbe essere utilizzata nella centrale di Sulcis, con un impianto di cattura e stoccaggio del carbonio, a costi chiaramente aggiuntivi per i consumatori.

A rendere noti i poco ambientalisti progetti europei è la mappa virtuale realizzata dal Can Europe (Climate action network), rete che riunisce circa 120 organizzazioni ecologiste sparse in oltre 30 Paesi, che dà una panoramica esaustiva sulle centrali esistenti in Europa e, appunto, quelle previste, sulle conseguenze ambientali e sugli effetti sanitari, ma anche su quanto i vari governi abbiano investito sul combustibile fossile negli ultimi anni. “Se questi impianti verranno costruiti le economie di questi Paesi verranno bloccate su centrali non sostenibili e antieconomiche per i decenni a venire”, scrive il Can. Un eufemismo per dire che si ripiomberebbe in piena era del carbone, considerando che in Europa ci sono già circa 240 centrali elettriche alimentate a carbone, di cui la maggior parte in Germania (74) e Repubblica Ceca (45); 13 quelle in Italia. Ma il numero non comprende le fabbriche che utilizzano carbone per sé. E peggio ancora: quasi tutte le centrali hanno almeno 30 anni, alcune arrivano anche a 60, e sono quindi obsolete e doppiamente inquinanti.

E tutto questo ha un costo enorme per i Paesi. Dalle ciminiere delle centrali a carbone – considerate già la principale causa dell’emissione di anidride carbonica in atmosfera – escono infatti le più svariate sostanze tossiche: metalli pesanti come arsenico e mercurio, polveri sottili e ultrasottili, anidride solforosa e biossido di azoto. Il Can sostiene che in Europa abbiano causato una spesa sanitaria pari a circa 60 miliardi di euro – un numero calcolato sulla base del Vsl (Value of statistical life) e del costo di circa 33 euro per tonnellata di Co2 immessa in aria. In Italia il costo si aggira intorno al miliardo e mezzo di euro. Le morti premature sarebbero poi secondo la Heal (Health and Environment Alliance) – dati riportati nella mappa virtuale – circa 23 mila. Tanto che i vari Paesi europei in vista anche della Cop21 – conferenza Onu sul clima che si terrà a Parigi il prossimo ottobre – si sono impegnati da tempo per ridurre l’uso nel carbone nella produzione di energia elettrica.

Impegni non sempre rispettati. La Germania, in tutto questo, è il Paese meno virtuoso con i suoi circa 30 miliardi di euro di finanziamenti tra il 1999 al 2011 all’industria carboniera, seguita subito dopo dalla Spagna con i suoi 22 miliardi dal 1992 al 2015 e da Polonia con 16,8 miliardi. Anche la Francia sostiene parecchio il settore attraverso la sua agenzia di credito Coface: tra il 2011 e il 2015, oltre 1,2 miliardi sono andati a progetti che prevedevano l’utilizzo del carbone e, tra il 2010 e il 2015, 144 milioni di euro di fondi europei sono stati destinati alla ricerca per le imprese del carbone. In Turchia il governo fornisce fino a 1,4 miliardi di euro all’anno in sovvenzioni ai combustibili fossili per produttori di carbone.

In Italia, infine, la partecipazione pubblica al business del carbone riguarda 11 centrali su 13 (circa il 30% di Enel è dello Stato e la maggioranza di A2A Energia invece è in mano ai Comuni di Brescia e Milano) con mire espansionistiche all’estero: il governo di Montenegro infatti ha stretto legami con la A2A dando vita alla utility Epcg per affidare a una società ceca del gruppo Skoda la costruzione di un secondo gruppo a carbone da 253 megawatt.

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