Si aprirà il 22 ottobre a Venezia il processo Mose, che dovrà giudcare su quello che gli inquirenti dipingono come uno dei più grandi sistemi corruttivi della storia repubblicana, un complesso intreccio tra imprenditori, politici, alti funzionari dello Stato, ufficiali delle forze dell’ordine.
I dodici imputati che compariranno davanti al giudice Andrea Comez sono quelli che “non hanno richiesto e ottenuto riti alternativi e che sono rimasti inerti, non hanno reso dichiarazioni, durante l’inchiesta” spiega Stefano Buccini, pubblico ministero, insieme a Stefano Ancilotto, che ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio.
Compariranno così per illecito finanziamento ai rispettivi partiti l’ex sindaco di centrosinistra Giorgio Orsoni (per fondi al Pd) e l’ex europarlamentare Lia Sartori (Forza Italia), per concorso in frode fiscale l’ex dirigente regionale Giancarlo Ruscitti, per millantato credito per l’ex presidente di Fintecna Corrado Crialese e per corruzione l’ex ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, l’imprenditore Erasmo Cinque, l’ex magistrato alle acque Maria Giovanna Piva, l’ex magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, il funzionario della Regione Giovanni Artico, l’imprenditore Nicola Falconi, l’architetto Danilo Turato e l’ex amministratore dell’autostrada Venezia-Padova Lino Brentan.
Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Piergiorgio Baita, amministratore della Mantovani, e Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan ed ex amministratrice della Adria Infrastrutture, hanno collaborato alle indagini e compariranno al processo come «coindagati che hanno deciso di parlare”, precisa il pm Buccini. “Baita ha patteggiato i reati fiscali, mentre per il reato di corruzione potrebbe essere rinviato a giudizio anche se la Procura rimane disponibile a esaminare richieste di rito alternativo”.
Ventisei imputati hanno preferito concordare, nei mesi scorsi, sentenze di patteggiamento e subire la confisca dei beni pur di evitare il processo. Fra questi Giancarlo Galan, ex presidente della regione Veneto ed ex ministro, ora agli arresti domiciliari, e che dovrà sborsare 2 milioni e seicentomila entro il 2 ottobre.
Le dichiarazioni rese da Baita, Mazzacurati e Minutillo rappresentano l’ossatura principale dell’inchiesta contenuta in oltre 70mila pagine di documenti. Altero Matteoli, accusato di essere stato corrotto dal Consorzio Venezia Nuova, sarà processato come gli altri a Venezia anche se i suoi difensori chiederanno il trasferimento, per competenza territoriale, a Roma.
Lo stesso Matteoli – ministro dell’Ambiente all’epoca dei fatti di cui è imputato – ha chiesto al Senato di concedere l’autorizzazione a procedere. L’ex ministro in particolare è accusato di aver ricevuto tangenti dai due presunti registi della cricca, Mazzacurati e Baita, perché assicurasse il flusso di finanziamenti ai lavori di bonifica di Porto Marghera e che alla presidenza dell’organo di controllo, il Magistrato alle Acque, andasse una persona fidata, Patrizio Cuccioletta. Quelle del ministro e dell’ex sindaco Orsoni, sono le posizioni più controverse, su cui gli avvocati difensori promettono subito battaglia. Orsoni in particolare chiederà lo stralcio della sua posizione, di “non essere associato agli altri imputati”, e il processo davanti al giudice monocratico essendo accusato di finanziamento illecito ai partiti.
Parallelamente si sta svolgendo in queste settimane il processo penale relativo alla responsabilità amministrativa delle società coinvolte. Nel luglio di quest’anno era stata disposta dalla procura la confisca preventiva di 8 milioni ad altrettante società del Mose. Le società che hanno subito la confisca sono la Fip Mantovani, il Consorzio Venezia Nuova, Adria Infrastrutture, Grandi Lavori Fincosit e Condotte, la Cooperativa San Martino, la Nuova Codemar e la Technstudio. L’entità del sequestro è stato stabilito in base ai profitti incassati dalle società grazie ai reati compiuti dagli amministratori.