Volendo ragionare in positivo, la buona notizia è che Ballarò è fondamentalmente un mercato storico di Palermo, come la Vucciria, il Capo o Borgo Vecchio, e in quanto tale ha una propria prospettiva economica fondata sullo scambio, alla base di ogni economia. La notizia cattiva è che è un mercato al di fuori delle regole dello Stato: sanitarie, amministrative, fiscali e anche penali, dove i cibi non sempre sono conservati a dovere; dove si apre un’attività senza autorizzazioni e contratti in regola; dove non si rilasciano scontrini fiscali e dove si spacciano droghe o si fa ricettazione di merce rubata. Un mercato, quindi, caratterizzato da un regime di extraterritorialità giuridica garantito da sostanziale impunità. Come rimediare?
Nei giorni scorsi l’incendio di un pub confiscato al boss Nicchi che alcuni imprenditori intendevano rilanciare in modo legale, ha riacceso i fari su Ballarò: giornali e televisioni hanno ricominciato a parlarne e lo Stato è riapparso con il suo volto repressivo con retate, sequestri, multe e denunce. Il rituale è conosciuto e, dopo l’impeto iniziale, immancabilmente si ritorna all’”anormale” normalità, secondo tradizione. Nel frattempo, in uno degli avamposti sociali della Chiesa presente in loco, Santa Chiara, amministratori pubblici, residenti e volontari hanno cominciato a riunirsi già un paio di volte invitati da don Enzo Volpe con l’intento di avviare azioni concrete contro il degrado civile e morale di Ballarò e dell’attigua Albergheria.
A mio modo di vedere, confortato in questo dal confronto con inascoltati docenti di economia politica, il problema sociale di Ballarò si perpetua perché la sua soluzione richiede tempi maggiori dell’orizzonte di azione di un’Amministrazione cittadina. Un sindaco, come ogni politico, pensa alla propria riconferma oppure alla carriera politica e l’esigenza di ritorni politici a breve mal si concilia con i tempi lunghi di un cambiamento sociale. Il primo fattore di progresso civile ed economico è l’istruzione e la scuola dell’obbligo rientra nelle competenze comunali: parliamo di ciò che gli economisti definiscono “capitale umano” secondo la definizione dell’Ocse: “le conoscenze, le abilità, le competenze e gli altri attributi degli individui che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico”. Il deficit di Ballarò è tutto qui.
Cito Il Sole 24 Ore: “Il capitale sociale s’incrementa attraverso l’istruzione e la formazione professionale formale, ma anche con altre forme di apprendimento nella vita quotidiana o nei luoghi di lavoro e attraverso contatti con la famiglia, i colleghi, le reti sociali e civili. La funzione di apprendimento, e quindi l’accumulazione di capitale umano, si concentra nelle fasi più giovanili, ma si protrae anche lungo tutto l’arco della vita individuale”. Dunque parliamo della scuola dell’infanzia e dell’obbligo con le connesse responsabilità dei docenti (quelli che amano sottrarsi a valutazioni oggettive della qualità della loro didattica attraverso test) e amministratori comunali: leggere fiabe ai bambini degli asili di un area sociale problematica, aiutarli a sognare, offrire loro occasioni di fare sport con le virtù e l’inclusione sociale che l’attività agonistica cementa, sono modalità concrete di favorire la crescita del capitale umano di un determinato quartiere.
E vengo alle soluzioni. Una delle vergogne della politica siciliana, occasione di abusi, sprechi e privilegi, è il campo della formazione professionale regionale dove centinaia di milioni di euro vengono spesi ogni anno con dubbi risultati (non mi risulta che gli imprenditori sgomitino per accaparrarsi i corsisti di attività dai nomi più improbabili, né che i risultati occupazionali giustifichino il lavoro e il guadagno di chi questi corsi li eroga: scuole che fanno normalmente capo a sindacati e politici mentre sarebbe più fruttuoso finanziare direttamente le aziende interessate a qualificare nuovi assunti attraverso stage aziendali da tenere rigorosamente nei distretti produttivi più sviluppati del Paese).
Se c’è una finalità prioritaria dei fondi per la formazione professionale, questa è proprio l’abbattimento dei divari cognitivi della scuola dell’obbligo per cui un uso intelligente di questi fondi, di cui potrebbero farsi promotori i cittadini e gli amministratori pubblici riuniti a Santa Chiara, potrebbe essere quello di investire attraverso attività di dopo scuola nel quartiere per formare cittadini attraverso lezioni di educazione civica che rendano chiaro perché lo stile di vita di Ballarò non ha futuro, perché conviene che i figli frequentino interamente la scuola dell’obbligo senza dispersione e poiché le cose insegnate a scuola per essere apprese efficacemente hanno bisogno di non essere smentite in famiglia, a questo dopo scuola dovrebbero partecipare i genitori dei ragazzi motivati da un incentivo economico.
Del resto, i corsisti della formazione professionale vengono normalmente retribuiti per cui si potrebbe pagare un gettone di presenza al genitore, maggiorato se partecipano entrambi. Oltre all’educazione civica, si potrebbero tenere corsi di lingua (Palermo è una città turistica che non ha ancora espresso interamente il suo potenziale) oppure di informatica: cose utili insomma. Per questi obiettivi sociali ci vuole certamente tempo, ma non è mai troppo tardi per cominciare.