Il conduttore di Ballarò: “Il premier dice: non esiste l’editto bulgaro. Si smorzano i toni, ma la sostanza non cambia. La famosa schiena dritta è ormai una formula retorica”
I fatti, in fila. Atto primo, l’editto presidenziale: “Se i talk-show del martedì fanno meno della replica numero 107 di Rambo dobbiamo riflettere.” Segue l’intermezzo del governatore della Campania Vincenzo De Luca, che accusa Rai3 di “camorrismo giornalistico”. Poi tocca a Michele Anzaldi, renziano di stretta osservanza e membro della Vigilanza Rai: “C’è un problema con Rai3 e con il Tg3. Purtroppo non hanno seguito il percorso del Pd: non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, Matteo Renzi, il quale poi è diventato anche premier”. E ancora ieri al Fatto: “Bianca Berlinguer ha dato tanto alla Rai, può bastare”. In tutto ciò c’è alle viste un nuovo bavaglio sulle intercettazioni. Massimo Giannini, conduttore di Ballarò, doppiamente chiamato in causa perché va in onda il martedì sera sulla rete più amata dal governo, comincia così: “Il premier ha detto ieri che non esiste alcun editto bulgaro. Ne sono lieto. Ha anche chiarito che non spetta a nessun governo decidere come si fa informazione in tv. E anche di questo prendo atto, visto che proprio lui aveva a suo tempo detto ‘fuori i partiti dalla Rai’. Si smorzano i toni, ed è un bene, ma la sostanza non cambia di molto. È come quando il cacciatore scioglie la muta dei cani, parte subito la caccia: si scatenano tutti quelli che intorno e al di sotto del presidente del Consiglio si sentono titolati a sparare su chi fa televisione in modo sgradito”.
Ci sono due guai: il primo è l’esistenza di una Commissione di Vigilanza sulla Rai. Il secondo è che i parlamentari che ne sono membri intervengono davvero sull’informazione. Una cosa altrove inconcepibile.
Negli Stati Uniti sarebbe impossibile: quando si tocca un punto nevralgico della dialettica democratica, come il rapporto tra media e potere, c’è una reazione immediata. I luogotenenti renziani hanno usato parole inaudite. Conosco Anzaldi da anni, è pure un bravo ragazzo: ma quello che ha detto, insieme ad altri esponenti del Pd, non si è mai sentito nemmeno ai tempi di Berlusconi.
La deduzione logica che si trae dalle parole di Anzaldi è che se Rai3 e il Tg3 si fossero accorti della vittoria di Renzi lo tratterebbero meglio. Ma non sarebbe un tradimento della funzione dell’informazione?
La politica sembra rimpiangere la Prima Repubblica, quando a Bruno Vespa toccava dire “il mio editore di riferimento è la Dc”, cioè il partito di maggioranza dell’epoca. È incredibile che questo accada mentre governa un quarantenne che si è presentato come motore del cambiamento. Ha detto bene Andrea Guerra martedì in studio da noi: Renzi dimentichi Verdini e recuperi la sua dimensione di innovatore.
Ma lei l’ha capito che Renzi ha vinto?
A me chi ha vinto non interessa. Guai se mi facesse velo la presa d’atto di chi comanda. Mi attaccano i grillini, la Lega, Renzi e Forza Italia: forse vuol dire che faccio onestamente il mio mestiere. Io sono di sinistra, ma se trattassi bene il Pd perché è al governo, tradirei la missione del giornalismo.
Siete il servizio pubblico, dicono.
Circola un’idea malintesa di servizio pubblico. Non è che se sei sulla Rai devi rinunciare al diritto di cronaca e di critica. Ho il massimo rispetto per la Commissione parlamentare di Vigilanza, ma anche i conteggi con il bilancino del tempo dato a questo o a quel partito, a parte il fatto che non siamo in par condicio, sono squalificanti. La politica dovrebbe occuparsi d’altro. Mi sembrano pretesti per attaccare chi, dentro la Rai, racconta la realtà per quello che è.
È in arrivo anche la nuova legge sulle intercettazioni: le pressioni diventano pressing. È un accerchiamento.
Non c’è dubbio. La politica è impaurita, consapevole di vivere una crisi di rappresentanza. E se i talk fanno ascolti bassi, questo è anche un riflesso di quella crisi. L’informazione, se è libera, può ampliare l’abisso tra politica e cittadini. E quindi bisogna metterla a regime: devono sapere chi ha vinto. Ed ecco anche la legge bavaglio, figlia di questa cultura del comando e del controllo. Però è una deriva pericolosa: il nostro dovere è informare.
Se Grillo mette sul blog il giornalista del giorno c’è una condanna unanime. Se il partito di governo attacca frontalmente una rete e un tg non succede quasi nulla.
Grillo sbagliò all’epoca, come hanno sbagliato i renziani in questi giorni. È cambiato il quadro politico. Non mi aspetto nessuna mobilitazione. Diciamolo: anche i giornalisti si sono assuefatti.
Il potere ci tratta come noi gli permettiamo di fare.
La famosa schiena dritta è ormai una formula retorica. Basta che poi non ci lamentiamo se perdiamo credibilità e autorevolezza.
da Il Fatto Quotidiano del 1 ottobre 2015