In seduta notturna la commissione Ambiente e Lavori pubblici della Camera ha trovato un compromesso con il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e abolito l’obbligo di gara per tutti i lavori delle concessionarie di lavori o servizi. In pratica salta la misura che era stata decisa dal Senato nell’ambito della riforma del Codice degli appalti e che aveva portato a una dura protesta soprattutto le concessionarie autostradali. Mentre all’esterno delle aule parlamentari ancora risuona il frastuono della battaglia del Senato sulla riforma della Costituzione, la Camera riscrive dunque il comma partorito da palazzo Madama e accontenta i signori delle autostrade, anche se è probabile che il successo conseguito mercoledì sera in commissione non basti alla lobby. È possibile che si verifichino nuovi assalti nel passaggio alla votazione in Aula.
Il testo uscito dal Senato prevedeva, su proposta del relatore, il senatore Pd Stefano Esposito (oggi anche assessore ai Trasporti a Roma) “l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già esistenti o di nuova aggiudicazione, di affidare tutti i contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica”, cioè regolare gara.
Le proteste pubbliche del presidente dell’Associazione delle concessionarie autostradali Fabrizio Palenzona, che ha paventato nel luglio scorso massicci licenziamenti da parte delle società di costruzione legate alle concessionarie, in particolare ai gruppi Benetton e Gavio, hanno provocato una spaccatura nel Pd. Da una parte lo stesso Esposito, il vicesegretario Debora Serracchiani e la relatrice del provvedimento alla Camera, Raffaella Mariani. Dall’altra la corrente più sensibile ai “desideri autostradali”, rappresentata dal presidente della commissione Ambiente e Lavori pubblici, Ermete Realacci.
Delrio, chiamato ad arbitrare la contesa, ha dato ragione alla corrente autostradale. La soluzione tecnica è stata la riformulazione di un emendamento del deputato marchigiano Piergiorgio Carrescia. In un primo momento aveva proposto di sostituire l’espressione “tutti i contratti” con la formula “una quota superiore al 50 per cento“, chiedendo in pratica il ritorno alle origini: la normativa oggi vigente impone, teoricamente, che il 60% dei lavori venga messo a gara, mentre il 40% si può fare in house, cioè affidando direttamente l’appalto a una società propria.
Delrio, intervenendo in commissione, dove la relatrice ha chiesto di sapere il parere del governo per potersi uniformare, ha detto che era favorevole all’emendamento Carrescia a patto che venisse così riformulato: “Una quota pari all’80 per cento“. Tornano quindi i lavori in house che il Senato aveva abolito, ma sono limitati al solo 20%. Ciò significa che per le società come Pavimental di Autostrade e Itinera del gruppo Gavio, comunque nel nuovo regime il portafoglio ordini sarà ridotto dal 40 al 20 per cento. In più, quanti sospettano che in realtà il limite del 40% non sia mai stato rispettato, hanno ottenuto l’introduzione nella legge di una responsabilità dell’Anticorruzione di Raffaele Cantone nel controllo che il 20% sia davvero il 20%.
L’impressione è che l’emendamento votato mercoledì sera in sede referente possa essere solo l’inizio di un braccio di ferro che alla fine dell’iter della legge potrebbe far tornare il tetto vicino al 40% attuale. La commissione ha anche introdotto, attraverso un emendamento di Realacci, il superamento della Legge Obiettivo. Anche in questo caso Delrio ha chiesto una riformulazione per includere nel testo la previsione di “norme transitorie” per i cantieri già in corso.
Da Il Fatto Quotidiano del 2 ottobre 2015