Gli studiosi, guidati da Alfonso Bellacosa, hanno dimostrato il coinvolgimento nella genesi e sviluppo di questo tipo di tumori del gene “MBD4”, che ha un importante ruolo nella riparazione degli errori nel Dna
Un team di ricercatori italiani a Philadelphia getta nuova luce sulle cause genetiche del cancro al colon. Gli studiosi, guidati da Alfonso Bellacosa, in forze presso l’Istituto per la ricerca, la cura e la prevenzione dei tumori “Fox Chase Cancer Center” di Philadelphia, uno dei centri di eccellenza negli Usa, hanno identificato un potenziale nuovo target per la diagnosi dei tumori colon-rettali. Come illustrato in uno studio internazionale, in corso di pubblicazione sulla rivista “Oncotarget”, gli scienziati hanno dimostrato il coinvolgimento nella genesi e sviluppo di questo tipo di tumori del gene “MBD4”, che ha un importante ruolo nella riparazione degli errori nel Dna.
“Abbiamo ottenuto la prova che le alterazioni di MBD4 compromettono la riparazione del Dna – spiega Rossella Tricarico, uno dei due coordinatori della ricerca insieme ad Alfonso Bellacosa -, e conducono all’accumulo di mutazioni in cui una delle quattro lettere che compongono il codice della vita, la citosina (C), muta in un’altra, la timina (T), con la conseguente degenerazione del codice di lettura e la formazione del cancro colon-rettale. Il nostro studio – aggiunge la ricercatrice – ha permesso d’identificare un notevole aumento di queste mutazioni in un gruppo di tumori del colon-retto, in cui MBD4 è difettoso”.
Secondo l’Airc, il tumore colon-rettale colpisce in Italia circa 40mila donne e 70mila uomini ogni anno, cifre che ne fanno il tumore in assoluto più frequente nel nostro Paese, se si escludono i carcinomi della cute. I ricercatori italiani hanno studiato i meccanismi di spegnimento/accensione dei geni nelle cellule tumorali, analizzando centinaia di campioni di cancro colon-rettale, e conducendo esperimenti di biochimica e genomica, uniti a indagini su topi modificati geneticamente per renderli privi del gene MBD4. “Abbiamo riscontrato in topi privi del gene un aumento della mortalità dovuta a tumori più aggressivi – chiarisce Tricarico -. Il risultato di questa ricerca, durata alcuni anni, è stato possibile grazie anche alla collaborazione di importanti centri italiani ed europei, che ci hanno permesso di analizzare più di 300 campioni di tumori colon-rettali”.
In futuro, individuare i tumori in cui i meccanismi di riparazione del Dna non funzionano correttamente potrebbe avere importanti ricadute cliniche. “Il nostro studio – afferma Tricarico – potrebbe condurre alla definizione di un test diagnostico per i tumori del colon-retto, che valuti il numero degli errori di riparazione del Dna dovuti all’assenza del gene MBD4. Questo test potrebbe permettere d’identificare precocemente tumori particolarmente aggressivi. Inoltre – sottolinea la studiosa italiana -, la correlazione con la risposta alla terapia e il decorso clinico dei tumori dei pazienti senza MBD4, potrà fornire informazioni utili per migliorare la diagnosi, la prevenzione e la scelta di terapie più efficaci”.
Al momento, il team di ricerca italiano sta conducendo ulteriori studi che riguardano, oltre al tumore del colon, anche alcuni melanomi della pelle e tumori del sangue. Il prestigio dell’istituto americano nello studio della genetica dei tumori ha, infatti, attirato in questi anni a Philadelphia molti ricercatori italiani. “Per quanto mi riguarda – commenta Tricarico -, non sono sbarcata negli Usa considerandomi un cervello in fuga, ma per avere l’opportunità di lavorare in un centro d’eccellenza, e acquisire così nuove e importanti competenze. Bisognerebbe vedere i giovani ricercatori all’estero – aggiunge la studiosa – come cervelli in training. Non in fuga, quindi, ma in trasferta, che dovrebbe essere però temporanea. Sarebbe, infatti, importante poter disporre di programmi di rientro, che consentissero di far fruttare in Italia le esperienze acquisite nei migliori istituti di ricerca internazionali. Il nostro Paese – precisa Tricarico – ha, infatti, un grande bisogno d’investire e credere nella ricerca e nelle persone che ha aiutato a formare, e che – conclude la studiosa – hanno voglia e capacità di contribuire in maniera significativa alla crescita del Paese”.