“Il governo fa gli interessi delle lobby del farmaco e non tutela i cittadini”. Il Movimento nazionale liberi farmacisti (che raggruppa i farmacisti non titolari) non risparmia parole dure contro il ddl concorrenza in discussione alla Camera che all’articolo 32, quello relativo alle “misure per incrementare la concorrenza nella distribuzione farmaceutica”, non prevede la liberalizzazione né delle farmacie né dei farmaci di fascia c, cioé quelli soggetti a ricetta medica ma il cui costo è a carico del cittadino.
Eppure il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella è stato molto chiaro quando il 25 giugno, durante un’audizione alla Camera, disse che sulla deregulation delle farmacie “il disegno di legge va nella giusta direzione” ma “restano tuttavia ancora inascoltate le proposte dell’Autorità con riguardo all’esigenza di superare l’attuale sistema di contingentamento del numero di farmacie presenti sul territorio nazionale attraverso la trasformazione dell’attuale numero massimo in numero minimo”. E ancora che, il processo di liberalizzazione della distribuzione dei farmaci, oltre che attraverso l’aumento del numero di esercizi, è reso possibile dalla “vendita al di fuori della farmacia, e sempre alla presenza di un farmacista, dei medicinali di fascia c”. Che rappresentano l’11 per cento della spesa farmaceutica a livello nazionale (la fonte è l’ultimo rapporto Osmed).
Niente da fare. Il governo ha disatteso le indicazioni e il ddl concorrenza firmato dal ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi, secondo chi è a favore delle liberalizzazioni, salva lo status quo. A mettersi di traverso è la maggioranza Pd e Ncd, cioè il partito di cui fa parte il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che già a febbraio si era dichiarata contraria a qualsiasi apertura del mercato.
“Il sistema morirebbe – aveva spiegato -, i farmaci con ricetta non possono stare al supermercato accanto a un pacco di cereali”. Ma neanche nelle parafarmacie, nate con il decreto Bersani del 2007 come valvola di sfogo di un mercato blindatissimo e autorizzate a vendere soltanto i prodotti di automedicazione senza l’obbligo di prescrizione medica (il Moment, ad esempio), pari all’8,5 per cento del mercato farmaceutico, benché a servire al banco siano sempre dei farmacisti.
Ebbene, le parafarmacie, attività commerciali a tutti gli effetti, sono il nemico numero uno di Federfarma, il sindacato dei titolari di farmacia, che non vogliono farsi rubare i clienti. “Non possiamo incentivare il consumo dei farmaci, non si tratta di caramelle, e le farmacie non possono moltiplicarsi ovunque – ha sottolineato a ilfattoquotidiano.it il presidente di Federfarma Annarosa Racca -. La farmacia non è un’attività commerciale ma un servizio farmaceutico convenzionato con lo Stato”.
Le uniche novità contenute nel disegno di legge all’esame dell’aula riguardano le società di capitali, che potranno anche loro essere titolari di farmacie, e il limite di quattro licenze per società, che sparirà. Questo significa che ci sarà spazio per le catene, come Boots nel Regno Unito. Tra gli oltre cento emendamenti riguardanti il capitolo sanità, quattro chiedono la liberalizzazione assoluta di farmacie e farmaci di fascia c. Provengono da Scelta Civica, Sel, M5S e minoranza Pd.
“È irragionevole mantenere la struttura di monopolio attuale – commenta Andrea Mazziotti (Sc), presidente della commissione Affari costituzionali e firmatario di un emendamento -. Così non si fa il bene del Paese. Aggiungo anche che nel giro di un paio di anni dovrebbero essere vendute tutte le farmacie comunali in perdita. Non c’è motivo per cui continuino a esistere visto che il settore è dominato dal privato. Tra l’altro, molte applicano sconti ai dipendenti pubblici e ai loro parenti a carico dei contribuenti”.
Giulia Grillo dei Cinque Stelle, anche lei firmataria di una proposta di modifica simile, attacca: “Dietro a questo muro di sicuro c’è la pressione delle lobby del farmaco. L’ingresso delle società di capitale non gioverà alla categoria dei farmacisti, finora gli unici aventi diritto alla titolarità, che diventeranno degli operai perché i nuovi padroni saranno grandi multinazionali e assicurazioni”. Oggi, ricordiamolo, un farmacista dipendente guadagna 7,20 euro all’ora.
In regime di libera concorrenza i prezzi dei farmaci non passati dalla mutua diventano più competitivi. Potremmo quindi pagare di meno analgesici, antiacidi, antinfiammatori vari. Il loro costo secondo un’indagine di Adoc (associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori) è tra i più alti in Europa (fino al 130 per cento in più).
Altroconsumo nel 2012 ha stimato un risparmio di 550 milioni di euro l’anno. Il Movimento nazionale liberi farmacisti ha calcolato 3000/3500 nuovi esercizi, 5mila posti di lavoro in più e 700 milioni di investimenti. “Tutto a costo zero per lo Stato e nessuna chiusura di farmacie” avverte Fabio Romiti, vice presidente dell’associazione, aggiungendo che “la liberalizzazione dei farmaci da banco ha prodotto in sette anni 1,8 miliardi di risparmi per i cittadini, 5.492 nuove aziende e 8mila nuovi posti di lavoro”.
L’occasione di una boccata di ossigeno ormai può dirsi persa. L’Italia, insomma, anche questa volta non farà passi in avanti. La licenza per aprire una farmacia rimarrà vincolata al numero di residenti sul territorio. Un criterio che risale a più di un secolo fa, alla riforma Giolitti del 1913 precisamente. Quindi, come previsto dal governo Monti (art. 11 della legge 27 del 2012), oggi ci deve essere una farmacia ogni 3.300 abitanti. Ma l’iter dei concorsi da allora non si è ancora concluso e il numero delle farmacie è rimasto invariato (18.200), secondo il vecchio criterio che ne prevedeva una ogni 5mila abitanti nei comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti e una ogni 4000 negli altri. Giolitti introdusse anche il concorso per la licenza. Ai nostri tempi invece può essere anche ereditata o acquistata.
Con la liberalizzazione dei farmaci di fascia c, le farmacie rurali, situate in piccoli centri abitati, temono il rischio chiusura. Romiti: “Perché dovrebbero chiudere? Al massimo perdono dai 45 ai 55 euro al giorno, considerato che con il libero mercato dei farmaci di automedicazione hanno perso il dieci per cento del fatturato e che potrebbe avvenire la stessa cosa con quelli di fascia c. Chi fallisce è perché non ha abbastanza competenza”.