Non c’è nulla di più doloroso che veder affondare in un gorgo di autodistruzione una persona amata. Però la sensazione di non essere gli unici a perdere i pezzi della propria esistenza può in qualche modo fungere da medicamento iniziale. Vediamo intanto qualche dato preciso: ci sono ben 300mila italiani con seri problemi di dipendenza (oltre 200mila alle prese con patologie legate alle droghe, di cui 130.000 legati all’eroina e 40.000 alla cocaina), senza dimenticare piaghe antiche come l’alcolismo e piaghe più recenti come il gioco d’azzardo patologico. Ma ci sono anche 550 servizi pubblici per curare, arginare (e in tanti casi guarire) le dipendenze (i famosi Serd, con un esercito di 7500 operatori tra infermieri, medici, psicologi, assistenti sociali), più un migliaio di comunità terapeutiche sparse in tutto il territorio italiano (con 6000 addetti e centinaia di volontari).
A parte conoscere l’indirizzo del sito www.federserd.it, che cosa può fare un genitore, un marito, un parente o un amico che volesse aiutare chi è entrato nel tunnel della dipendenza? Per esempio sapere che i servizi offerti dai Serd sono totalmente gratuiti (non si paga alcun ticket) e non richiedono alcuna procedura complicata (non serve neppure l’impegnativa del medico curante). E che l’anonimato può essere richiesto e ovviamente rispettato.
Poi: tenere sempre a mente che si può spingere una persona al cambiamento positivo, incoraggiarla verso una svolta costruttiva, ma che la decisione di iniziare la terapia deve essere fortemente voluta e perseguita proprio dalla persona interessata. Perché solo chi capisce da sé l’assurdità di un percorso autodistruttivo può trovare il bandolo della matassa per tornare a occuparsi della propria salute, del proprio lavoro, della propria famiglia (tutti campi che vengono devastati dalle dipendenze e che debbono tornare ad essere coltivati pian piano). La fretta, il voler risolvere tutto subito, non è mai una buona consigliera: a meno di casi di urgenza estrema, di solito passa almeno una settimana per ottenere i primi colloqui (a cui seguiranno oltre una visita medica, una serie di esami che permettono di seguire la storia tossicologica dell’ultimo anno del paziente).
Determinanti gli incontri con lo psicologo e l’assistente sociale, per capire quali sono le necessità legate alla quotidianità, e per stabilire una cura che non passi solo attraverso i farmaci. Fondamentale il lavoro di confronto con gli altri pazienti, perché non sentirsi soli, non colpevolizzarsi come gli unici perdenti in una società di vincenti, è il balsamo migliore per curare le tempeste esistenziali, quelle che possono travolgere chiunque, in qualunque momento.
Perché bisogna sempre rammentare che una società basata sull’indifferenza al dolore altrui, prima o poi schiaccerà anche chi si sente forte e inattaccabile.