Cronaca

Genova, furto nella villa di Paolo Emilio Taviani. Rubati documenti e lettere

Nella casa che appartenne al senatore, più volte ministro e membro dell'assemblea costituente scomparso nel 2001 non manca nessun oggetto di valore. Secondo i carabinieri i ladri cercavano appunti e carte

I ladri professionisti che hanno agito nel buio martedì scorso sono andati a colpo sicuro. Indisturbati. Hanno trafugato documenti, carteggilettere dallo studio della casa di campagna a Bavari, sulle alture di Genova, che appartenne a Paolo Emilio Taviani. Taviani, genovese, scomparso a quasi 89 anni nel giugno del 2001, è stato una figura di spicco della Prima Repubblica. Capo partigiano durante la guerra di Liberazione, esponente della sinistra della Democrazia Cristiana, di cui fu anche segretario politico. Membro dell’Assemblea Costituente, fu più volte ministro – dell’Interno in due riprese, dal 1962 al 1968 e nel 1973-74 – vicepresidente del consiglio e dal 1991 senatore a vita. Visse in prima persone tutte le vicende più delicate dell’Italia repubblicana, e fu in prima linea contro il terrorismo di ogni colore durante gli anni della strategia della tensione. Fu il teorico degli opposti estremismi e venne condannato a morte sia da Ordine Nuovo che dalle Brigate Rosse, oltreché dall’Oas, l’organizzazione che si opponeva alla indipendenza dell’Algeria.

Sicuro nella fede antifascista, Taviani fu tuttavia fra i fondatori della Organizzazione segreta Gladio, costituita in funzione di risposta armata all’eventuale presa del potere dei comunisti in Italia. Come ministro della difesa, negli anni Cinquanta, venne in possesso di documenti che provavano i finanziamenti dell’Urss al partito comunista italiano, Ma si rifiutò di renderli pubblici. “Evitai la guerra civile”, spiegò. Nel ’94 professò la propria avversione per Berlusconi presidente del consiglio ma disse che se fosse stato mandato al Viminale, non avrebbe votato contro Claudio Scajola, uno dei suoi pupilli nella Dc ligure.

Che cosa cercavano i ladri nel minuscolo studio rimasto intatto dopo la morte di Taviani? Documenti, carte, appunti del senatore, ritengono i carabinieri del nucleo di San Martino che conducono le indagini. Nessun oggetto di valore, da una prima ricognizione, risulta mancante. La casa è di fatto abbandonata. Il figlio di Taviani, Giuseppe, che l’ha ricevuta in eredità, vive a Roma e si fa vivo di rado. Il custode non dorme all’interno e i ladri non sono stati disturbati durante il raid notturno. Con un piede di porco hanno forzato una delle finestre che dà sul giardino, rompendo anche il davanzale di ardesia, e sono penetrati all’interno dell’abitazione, una casa contadina a due piani nella quale Taviani si ritirava d’estate a studiare, mettere in ordine i pensieri, riposarsi. E a scrivere del personaggio più amato, Cristoforo Colombo, del quale Taviani fu uno dei massimi studiosi ed esperti a livello internazionale.

Nella casa avìta, ricevuta dai genitori, riceveva anche importanti personaggi così come gli abitanti del paese. Nello studio il senatore a vita riordinò le carte che gli permisero di scrivere le proprie memorie, condensate in un libro, dal titolo “Politica a memoria d’Uomo”, pubblicato postumo dal Mulino. Rivelazioni esplosive: i Carabinieri su ordine della magistratura bolognese sequestrarono il dattiloscritto ancor prima della pubblicazione. Nel capitolo finale del libro, intitolato “I Misteri d’Italia” l’ex titolare del Viminale svelò particolari sconosciuti. Già di fronte alla commissione stragi Taviani aveva raccontato che la mattina del 12 dicembre 1969 un agente del Sid partì da Roma diretto a Milano con l’incarico di impedire attentati terroristici. Ma non giunse in tempo e la bomba collocata nel salone della Banca dell’Agricoltura fece una strage. Chi sapeva dunque dell’attentato in preparazione a piazza Fontana? Aggiunse di aver avuto quell’informazione da ambienti religiosi e disse anche che un ufficiale del Sid, De Gaudio, si spostò da Padova a Milano per depistare le indagini verso i “rossi”. L’attentato venne invece eseguito da due elementi di Ordine Nuovo, Franco Freda e Giovanni Ventura, che sfuggirono alla giustizia perché assolti prima che emergessero gli elementi di accusa a loro carico.

Taviani attribuì anche la strage di Piazza della Loggia a Brescia (1974) ai neofascisti di Ordine Nuovo, rivelazione peraltro da lui anticipata, in una intervista pubblicata pochi giorni dopo la sua morte dal Secolo XIX. In essa Taviani affermò testualmente: “Ci poteva essere il Sid (il servizio segreto, ndr) deviato, ma insomma era sempre Ordine Nuovo che manovrava”. Taviani aveva sciolto Ordine Nuovo un anno prima, nel 1973. Le risultanze della vicenda giudiziaria gli hanno infine dato ragione. Il 22 luglio 2015, a oltre quarant’anni dalla strage, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonti, militanti di Ordine Nuovo, sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’appello che li ha riconosciuti colpevoli della strage bresciana che provocò 8 morti e decine di feriti.