Il Comitato è l’organo istituito dalla Convenzione Onu del 1990 per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie per esaminare l’applicazione delle disposizioni della Convenzione da parte degli Stati che vi hanno aderito. Esso ha la responsabilità di vegliare al rispetto dei diritti fondamentali di queste persone particolarmente vulnerabili che si trovano a dovere lasciare il loro paese alla ricerca di una vita migliore. Ma di che diritti si tratta?
Tanto per cominciare, in qualità di membri della famiglia umana, i lavoratori migranti ed i loro familiari “godono dell’insieme dei diritti fondamentali inerenti alla dignità umana, a partire da quelli sanciti nella Dichiarazione Universale dei diritti umani e dal Patto internazionale sui diritti civili e politicie gli altri strumenti giuridici pertinenti.
Inoltre, la Convenzione per la protezione dei diritti dei lavoratori migranti sancisce il diritto alla non-discriminazione ed i diritti legati alla libertà ed alla protezione dell’integrità fisica come il diritto a potere lasciare qualunque stato, compreso il loro stato d’origine; il diritto alla vita; il diritto di non essere sottoposti alla tortura o essere tenuti in schiavitù o servitù, o essere obbligati a svolgere un lavoro forzato o coatto, eccetera”.
Secondo Ahmadou Tall, la Convenzione consacra inoltre alcuni diritti specifici ai lavoratori migranti, come “il diritto di non essere imprigionato o privato del proprio permesso di soggiorno o permesso di lavoro o espulso semplicemente per aver omesso di far fronte a un impegno che deriva da un contratto di lavoro, o il diritto di non vedersi confiscare, distruggere o tentare di distruggere documenti di identità, documenti che autorizzano l’entrata o il soggiorno, la residenza o l’insediamento nel territorio nazionale o permessi di lavoro, del passaporto o altri documenti equivalenti. I migranti hanno inoltre diritto al rispetto della loro identità culturale e quello di mantenere i legami culturali con il loro Stato d’origine e di trasferire i loro guadagni e risparmi”.
Ratificando la Convenzione, gli Stati membri si impegnano a rispettare l’insieme di questi diritti ed a prendere le misure necessarie alla loro protezione senza discriminazione, garantendo inoltre le vie di ricorso amministrative o giudiziarie necessarie a permettere alle vittime di eventuali violazioni di ottenere un equo risarcimento dei danni subiti.
La Convenzione si applica a tutti i migranti, che siano in situazione regolare od irregolare. Ma alcuni diritti sono ‘riservati’ ai lavoratori migranti provvisti di documenti o in situazione regolare nello Stato d’arrivo. Si tratta, per esempio, del diritto di assentarsi temporaneamente senza che ciò produca effetti sul loro permesso di soggiorno o di lavoro; del diritto alla libertà di movimento nel territorio dello Stato di arrivo e la libertà di stabilirvi la residenza in base alla loro scelta e del diritto di fare parte di associazioni e sindacati nello Stato di arrivo per la promozione e la salvaguardia dei loro interessi economici, sociali, culturali e di altro tipo”.
I paesi che non hanno ratificato la Convenzione (e tra essi tutti i paesi dell’Unione Europea, non a caso grandi recettori dell’immigrazione) hanno comunque il dovere di rispettare e proteggere i diritti umani dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie: “in genere vi sono altri strumenti internazionali applicabili in quei paesi ai diritti dei lavoratori migranti: nel caso dei paesi membri dell’Unione Europea, si tratta della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, completata dalla Carta Sociale Europea, adottata nel quadro del Consiglio d’Europa, e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Si può tuttavia rimpiangere che il rifiuto dell’insieme degli Stati del Nord di aderire alla Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti privi la Comunità internazionale dell’opportunità di utilizzare un quadro di riferimento unico e condiviso per occuparsi con efficacia delle questioni relative alle migrazioni internazionali e per prevenire ed eliminare i movimenti e l’impiego illegali o clandestini dei lavoratori migranti. La tragedia umanitaria che viviamo in questo momento, con centinaia di migliaia di migranti in provenienza da Siria, Iraq, Afghanistan e Libia e che forzano a viso scoperto le porte dell’Europa, ha dimostrato l’inefficacia dei chilometri di muri e di filo spinato come di tutte le altre forme di protezionismo e di repressione. È necessario ed urgente promuovere una cooperazione internazionale che tenga nella dovuta considerazione gli imperativi dello sviluppo e del rispetto dei diritti umani”.
Tra i paesi che non hanno ratificato la Convenzione c’è anche l’Italia. “Non so se l’Italia, che accoglie centinaia di migliaia di migranti e la cui storia è strettamente legata ai fenomeni migratori, abbia una ragione particolare per non aderire alla Convenzione: il suo atteggiamento è comunque conforme alla posizione generale adottata dai paesi membri dell’Unione Europea. Ma so che l’Italia ha fondato in larga misura la propria legislazione in materia d’immigrazione sulle disposizioni e prescrizioni della Convenzione. La questione della mancata ratifica della Convenzione da parte dei paesi del Nord del mondo non si spiega attraverso considerazioni giuridiche ma ha piuttosto a che vedere con la volontà politica”.
Se si vuole ridurre l’immigrazione, soprattutto in provenienza all’Africa, la cooperazione allo sviluppo resta fondamentale, conclude Ahmadou Tall. “I paesi africani ne hanno ancora un bisogno imperativo. La vera sfida per le autorità politiche africane e per i partner della cooperazione allo sviluppo è piuttosto che gli aiuti siano gestiti efficacemente e producano risultati tangibili e durevoli in favore delle popolazioni”.