L’industria del disco cerca di irretire l’acquirente e il collezionista di classica con sempre nuove spettacolari soluzioni e per ogni anniversario di un grande artista non manca di sfornare nuovi prodotti con caratteristiche accattivanti. E’ anche il caso del venticinquesimo anno dalla scomparsa di Leonard Bernstein che il 14 ottobre del 1990 moriva a poco più di un anno da quella del rivale di sempre: Herbert von Karajan.
Sia la Sony (che detiene i diritti della vecchia Columbia/Cbs) che la DG, le due principali compagnie con cui il Maestro abbia registrato dischi, hanno organizzato dei megabox con tutte le incisioni effetuate. La Sony ha completato il progetto lo scorso anno con l’uscita del secondo dei due cofanettoni (il primo 60 cd, il secondo 80, con confezione scomodissima a grandezza da vecchio LP); la Dg ha rilasciato ‘solo’ il primo cofanettone con 60 cd tutti con riproduzione delle copertine originali dei vecchi dischi, si attende il secondo volume.
La scelta tra le due edizioni, entrambe con meriti musicali difficilmente sopravvalutabili, è difficoltosa e il collezionista compulsivo vorrà possederle entrambe. Alcune fondamentali linee rimangono naturalmente comuni, altre invece si differenziano notevolmente, come è lecito attendersi essendo Bernstein interprete vero e quindi sempre in continuo mutamento.
I dischi Sony sono stati incisi principalmente con la New York Philarmonic, specie per quanto riguarda il cuore del repertorio, e sono incisioni in prevalenza degli anni ’60: quelli del momento di grazia del direttore, della sua irresistibile ascesa, quelli in cui nel mondo veniva lanciato per la prima volta un grande direttore americano di nascita, fiero di esserlo e di rappresentare il proprio Paese e la sua cultura, musicalmente formidabile, onnivoro. Un musicista che sapeva essere un pianista capace, un direttore come pochi ne sono comparsi, un valente compositore, un intrattenitore e comunicatore televisivo tra i primi a sfruttare il nuovo medium, un pedagogo trascinante.
Ecco, i box Sony raccolgono questa fase esplosiva: il suo Beethoven che sapeva essere magniloquente e allo stesso tempo vitale e privo di retorica, il Brahms epico, che ricordava Furtwaengler, e soprattutto il suo incomparabile Mahler, un’integrale, quella di Lenny, che segnò una tappa fondamentale della riscoperta di quel gigante.
Negli anni ’70 Bernstein però volle ricongiungersi all’Europa, ritrovare le radici di quella cultura che era anche la sua, e soprattutto sondarne la tradizione esecutiva. Strinse un rapporto intenso e proficuo soprattutto con i Wiener Philarmoniker (i Berliner gli erano naturalmente interdetti, tranne che per una meravigliosa e assai problematica Nona di Mahler) con cui incise nuovamente molti cicli sinfonici: Beethoven, Brahms, Schumann; mentre per Mahler la scelta fu più variegata, i Wiener, New York Philarmonic e Concertgebouw di Amsterdam.
Sostanzialmente l’assunto di fondo rimane lo stesso, la penetrazione di Bernstein nell’universo mahleriano è assoluta e assai idiomatica, tanto personale da essere in qualche punto una chiara violazione del testo, in genere assai preciso nelle indicazioni. Ciò che ne esce fuori però è sempre stimolante e in alcuni momenti decisamente sconvolgente, basti pensare ai due minuti finali della perorazione della ‘Resurrezione’: il tempo diventa più lento del doppio, il passo rallentatissimo riesce a far raggiungere a quel culmine una estaticità raramente eguagliata.
Vi sono anche alcune scelte decisamente infelici, come quella di far cantare un bambino, a posto di un normale soprano, nel finale della Quarta o una Sesta sottotono e opaca, ma abbiamo una Nona che supera di molto quella di NY con un’orchestra del Concertgebouw che esegue prodezze timbriche e agogiche da far paura, seguendo le faticose esigenze del direttore.
Altro miracolo è l’integrale schumanniana, e anche qui, grazie alla timbrica raffinatissima dei Wiener, si supera la pur bellissima edizione con la New York Philarmonic. Ma tantissime sono le perle della gran mole di registrazioni del miracoloso Lenny: come dimenticare il suo Gershwin, o il suo splendido Stravinskij o le incisioni inarrivabili delle sue opere di compositore?
L’opera è consegnata ai posteri, in modo che ne possano godere ed ora, alla giusta distanza, riluce più che mai.