Le pensioni dei prefetti, se fossero calcolate sulla base dei contributi versati, sarebbero in media più basse del 40% rispetto a quelle attuali. A rivelarlo è l’Inps, che nell’ultima puntata dell’operazione “Porte aperte” si è occupato appunto dei trattamenti previdenziali dei rappresentanti del governo nelle province. I loro assegni, segnala l’istituto, si basano su regole molto più vantaggiose di quelle dei lavoratori privati e anche di gran parte di quelli pubblici.
Il personale della carriera prefettizia, spiega l’Inps, non appartiene a una gestione previdenziale a sé stante ma è iscritto alla cassa per i trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato. Tuttavia gode di un trattamento di favore: ha diritto a “sei aumenti periodici che si aggiungono alla pensione già determinata” e equivalgono “mediamente ad un importo di circa il 15% della retribuzione rapportata all’anzianità contributiva posseduta”. In più, per esempio, nello stipendio su cui viene calcolato l’assegno vengono ricomprese anche le indennità per le funzioni aggiuntive eventualmente svolte durante la carriera (capo della polizia, commissario straordinario) anche se quando lascia il lavoro il prefetto non le ricopre più.
Di conseguenza dalle simulazioni fatte dall’istituto presieduto da Tito Boeri emerge che, con l’applicazione del metodo contributivo, le pensioni di vecchiaia e anzianità di cui godono subirebbero una riduzione media dell’ordine del 40% sul lordo.