La scoperta del Corpo forestale fuori dal perimetro della discarica di Pitelli, da anni al centro di misteri e veleni. In corso le analisi della melma scura e oleosa contenuta. Le indagini sulla base di una fonte confidenziale, l'ipotesi è che nell'area possano essere finite anche le scorie del disastro di Seveso
Quattordici fusti, interrati vicino a un ex campetto di calcio. Ma la convinzione degli investigatori è che là sotto, e tutto intorno, ce ne siano molti di più. La terra intorno alla discarica di Pitelli a La Spezia ha restituito un pezzo del suo passato di misteri e di veleni. Gli agenti del Corpo forestale dello Stato, coordinati dal pm Luca Monteverde, hanno trovato un’area piena di fusti interrati vicino all’area di “campetto”, dove fino a qualche decina di anni fa giocava una squadra di calcio locale. Una zona finora mai indagata dalle autorità, esterna alla discarica della Sistemi Ambientali di Orazio Duvia, l’imprenditore spezzino finito al centro dell’inchiesta della Procura di Asti nel 1996 sulla triangolazione dei rifiuti che dalla Lombardia e dal Piemonte finiva nel Golfo dei Poeti. Duvia fu accusato di aver corrotto politici locali, funzionari pubblici e ufficiali della Marina Militare, ma nel 2011 è stato assolto dai reati più gravi di disastro ambientale e di falso. Gli altri reati, a quel punto, erano già prescritti.
Seguendo le informazioni riservate di una fonte confidenziale, da alcuni mesi la Forestale, coordinata dalla magistratura spezzina, ha riaperto il fascicolo di Pitelli e sta cercando di far luce sulle piste più inquietanti e mai verificate pienamente: come l’interramento di rifiuti militari e di armamenti, e di alcuni fusti che potrebbero contenere parte della diossina proveniente dall’area di Seveso, dove nel 1976 il disastro dell’Icmesa causò uno dei più gravi incidenti della storia industriale. L’area dei nuovi scavi, fanno sapere gli inquirenti, è oggi di proprietà proprio di Duvia, che l’avrebbe acquisita da alcuni anni.
Nulla si sa, per ora, sul contenuto dei fusti, impastati da una melma scura e oleosa, densa di sostanze che ora sono sotto la lente dei tecnici dell’Arpal, l’Agenzia regionale per l’ambiente. Il Corpo forestale ha impiegato per le indagini un magnetometro in grado di rilevare masse metalliche e una squadra rilevamenti, dotata di laboratorio mobile. A dar manforte al nucleo di La Spezia sono arrivati da Roma anche gli uomini del Nicaf, il nucleo centrale di polizia ambientale. “Là sotto c’è di tutto”, fanno sapere fonti investigative che hanno seguito da vicino gli scavi. I primi rifiuti erano già emersi nel giugno del 2014, quando sotto al bosco vicino a Pagliari erano stati trovati residui di idrocarburi e alcuni sacchi con la scritta “Esercito italiano”, insieme a frammenti di bidoni triturati.
La collina di Pitelli, inserita dal 2000 nell’elenco dei Siti inquinati d’interesse nazionale, nel 2013 era stata “declassata” a Sito di interesse regionale (insieme ad altri 17 Sin) con un decreto firmato dall’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini. I fantasmi del passato sono un’eredità pesante per la città di La Spezia. Tanto che il sindaco, Massimo Federici, di fronte alla Commissione parlamentare sui rifiuti nel gennaio 2015 aveva chiesto di “mettere la parola fine” alla vicenda dei rifiuti di Pitelli: “Non sappiamo mai se ci si trova di fronte a delle leggende metropolitane e a delle voci messe in giro ad arte – ha dichiarato il sindaco Federici – Sottoporre un territorio per 30, 40 anni a una vicenda di questo tipo credo sia una crudeltà sociale e politica insopportabile”. Ma i fusti riemersi oggi dal terreno potrebbero essere solo la punta di un iceberg.