Torna ciclicamente, ma in realtà non è mai andata via. La stagione dei branchi, fa capolino e si affaccia nei luoghi più frequentati del nostro Paese. No, non parlo dei cinghiali, parlo del branco umano composto di adolescenti con qualche leader che si impone. Cellule che si riproducono al ritmo incessante di una continua ricerca della “viralità”, della facile notorietà temporanea, dell’evanescenza dell’attimo trascorso sotto l’effetto di qualche droga a caso o ancor più semplicemente dell’alcol sganciato da un anonimo store. Il branco, sì.
Si manifesta come un’entità “assetata di sangue”, come ha giustamente affermato il Procuratore capo di Trani (Carlo Maria Capristo) dopo gli arresti del branco tranese che ha ucciso il 34enne Biagio Zanni lo scorso 20 settembre. Dal video fornito dai Carabinieri emerge l’orrore del fatto che tutto accade mentre turisti sono seduti al bar, persone passeggiano come se nulla fosse accaduto.
L’orrore, l’orrore civico si manifesta così… nell’indifferenza. Ed è su di essa che conta il branco. Può osare perché sa che nessuno parlerà, interverrà o si renderà attivo nell’opporsi alla violenza sanguinaria “senza senso”. Come in un videogame, abbattere senza pensare alle conseguenze. Come in un “virtual contest”, distruggere l’altro per mostrare il proprio dominio. Allo stesso modo si può legare un uomo ad un albero (è successo nella vicina Andria), si possono intimidire i passanti, devastare piazze, sventrare scuole nel cuore della notte.
Il branco sceglie la sua avventura ed agisce come si sentisse protagonista di un film o di una serie. Poi torna a casa e respira la realtà fatta di disagi, problemi, emergenze familiari, e si “sdraia” nella propria adolescenza, come ben descrive Michele Serra, forse con punte troppo elevate di ottimismo e speranza.
La verità è che in questo Paese si spende poco per i nostri figli per politiche di prevenzione e lotta al disagio minorile. Forse si spende di più per lo studio dei branchi di cinghiali. Così come si lascia troppo spazio all’abbandono dei nostri adolescenti in quelle community alternative rappresentate dai reality, dalle Tv commerciali tipo reale prime o super plus, nascoste tra mille canali, ma che impazzano tra i “bimbiminchia” ( così chiamano i più grandi i loro quasi coetanei più piccoli). Anche i media, dedicano poco spazio (tranne nei casi eclatanti), all’analisi di questo fenomeno troppo facilmente racchiuso nella inadatta parola “bullismo“.
Purtroppo le varie agenzie educative sono quasi sempre sconnesse tra di loro ed il tanto agognato Sfi (sistema formativo integrato) non è mai stato realizzato appieno. Vive a macchia di leopardo trasportato da coraggiosi educatori, docenti, volontari che arrivano fin dove possono, ma poi si arrendono nei territori più a rischio, dove i branchi si riproducono sempre più velocemente. Siamo il Paese dove i buoni propositi riempiono le biblioteche di scritti ed i sogni sono sempre più dotati di effetti speciali. Ma fuori, nei territori, nella realtà troppe mani grondano di sangue e le nostre lacrime non basteranno a lavarle.