Nell’aprile scorso segnalavo in un post i risultati di un lavoro scientifico condotto sulla grande coorte delle infermiere americane che correlava l’esposizione in utero, specie nel terzo trimestre di gravidanza, a elevati livelli di PM2,5 con un aumento del rischio di autismo nell’infanzia; ulteriori studi hanno poi fatto emergere come anche altri inquinanti, che fanno ormai parte dell’aria che respiriamo quali il monossido di carbonio o gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (Ipa) abbiano un’azione neurotossica specie sul cervello in via di sviluppo tanto che si parla di “neurotossine” nell’aria.
Lo studio sul monossido di carbonio dimostrava che questo può passare attraverso il sangue placentare e danneggiare il fisiologico sviluppo del cervello fetale e, dal momento che i limiti sono stabiliti tenendo conto dei rischi di tipo cardiovascolare in adulti, gli autori auspicavano che questi limiti venissero rivisti tenendo conto di questa nuova azione come “neurotossina” del CO. Per quanto riguarda gli Ipa lo studio, pubblicato su Jama Pschiatry (Peterson BS1, Rauh VA2, Bansal R1, Effects of Prenatal Exposure to Air Pollutants (Polycyclic Aromatic Hydrocarbons) on the Development of Brain White Matter, Cognition, and Behavior in Later Childhood JAMA Psychiatry. doi:10.1001/jamapsychiatry.
Il livello di Ipa cui era stata esposta la madre in gravidanza era stato misurato con specifica strumentazione in ogni singolo caso, e i bambini in età scolare sono stati sottoposti non solo a specifici controlli ma anche a risonanza magnetica nucleare. L’indagine ha permesso di stabilire che esiste una relazione dose -risposta fra esposizione prenatale ad Ipa – specie nel terzo trimestre di gravidanza – e riduzione in età infantile della sostanza bianca dell’emisfero cerebrale sinistro che si associa a ritardo intellettivo, rallentamento dei processi cognitivi, problemi di comportamento, disturbi dell’attenzione ed iperattività. Del tutto recentemente anche l’Associazione Culturale (ACP) , che raggruppa buona parte dei Pediatri italiani, prende in considerazione questo problema e riconosce come – in base ad ulteriori studi, condotti a Città del Messico e a un articolo pubblicato recentemente su Primary Health Care Research & Development (4) – si documenti ormai in modo inequivocabile che l’inquinamento dell’aria comporta non solo rischi per il sistema cardiovascolare, l’apparato respiratorio o il cancro, ma è in grado di alterare anche le funzioni cerebrali ed addirittura le strutture anatomiche del cervello. Va anche ricordato che il particolato ultrafine può arrivare direttamente ai lobi frontali del cervello attraverso la mucosa nasale ed il bulbo olfattivo comportando effetti di neuroinfiammazione e neurodegenerazione, che sono alla base anche di patologie neurodegenerative dell’adulto quali l’Alzheimer.
Cosa stiamo concretamente facendo per migliorare la qualità dell’aria e preservare la salute soprattutto dei bambini? Ricordo, a titolo di esempio per quanto riguarda gli Ipa, che con il Decreto di Legge n. 155 del 13/8/2010, il governo aveva posticipato al 31 dicembre 2012 il divieto di superamento del livello di un nanogrammo a metro cubo per il benzo(a)pirene, agente non solo cancerogeno e genotossico, ma anche neurotossico, specificando tuttavia che “l’obiettivo di qualità di un nanogrammo al metro cubo, anche dopo la data indicata, dovrà essere osservato purché ciò non comporti costi sproporzionati per l’industria”. Mi chiedo se non solo i responsabili del recente scandalo Volkswagen, ma i politici che perseguono la strada del petrolio e delle combustioni – dagli inceneritori, alle biomasse, al Combustibile solido secondario nei cementifici – hanno anche solo una vaga idea di questi problemi: credo che la concreta tutela della salute infantile, al di là delle parole che sempre si sprecano, sia il miglior parametro per misurare il livello di civiltà di una società e purtroppo non posso che constatare che da questo punto di vista la nostra lascia molto, anzi troppo, a desiderare.