Ricorsi giudiziari e mobilitazioni, con il rischio di nuovi scioperi. Va avanti così la vertenza sulla riforma delle stazioni di carburante in autostrada. A differenza di quella della rete ordinaria, su cui governo e mondo petrolifero vanno avanti in piena sintonia, qui è piena battaglia. E a stare sul piede di guerra non sono solo i sindacati ma anche le compagnie stesse. In questi giorni l’Unione Petrolifera ha depositato un ricorso al Tar del Lazio, con richiesta di sospensiva, contro il decreto sulla ristrutturazione del settore firmato ad agosto dai ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture. Il provvedimento rappresenta la base da cui partire per i nuovi bandi sull’affidamento dei servizi, prevede la chiusura delle pompe di benzina meno redditizie e una modernizzazione di quelle rimanenti, anche attraverso una maggiore automazione. L’obiettivo ultimo è ridurre i prezzi dei carburanti e migliorare la qualità del servizio.
Il settore chiede da anni la riforma, preoccupato sempre di più dal crollo dei consumi, ma così come è stata messa giù dai due ministeri non piace proprio. Sono infatti molti i punti contestati sia dall’Up sia dai sindacati. L’associazione che rappresenta le compagnie contesta il mancato coinvolgimento di Antitrust, Autorità dei Trasporti e Regioni nello stabilire le nuove misure e i tempi troppo stretti per i nuovi bandi (e per tutte le varie fasi, come la presentazione delle manifestazioni di interesse). Nel mirino anche i limiti all’automazione e le poche garanzie sulla continuità gestionale. Sarebbero poi troppo pochi i punti vendita da chiudere: solo 25 a fronte di 16 nuove aperture. Infine, non si risolve la questione delle royalty, cioè le somme versate dalle compagnie petroliere alle concessionarie autostradali. Oggi sono alle stelle e da tempo il settore, così come l’Antitrust, chiede un intervento per ridurle, così da avere effetti positivi anche sui prezzi della benzina.
Dal canto loro, anche le tre sigle sindacali continuano a dare battaglia. Faib, Anisa e Fegica hanno annunciato che a breve presenteranno pure loro un ricorso al Tar. Al centro delle critiche dei gestori, i pochi impianti da chiudere, la troppa automazione (al contrario dell’Up), l’indennizzo troppo basso per i gestori degli impianti in chiusura e il massiccio ingresso di operatori della ristorazione.
Nel piano non c’è “nessuna ristrutturazione della rete: chiudere 25 impianti per riaprirne 16 è un controsenso”, dicono i sindacati, per i quali la riforma non migliora neanche i servizi offerti agli automobilisti, in quanto gli impianti saranno, durante la notte, tutti self-service. Poi è previsto un accorpamento di aree disomogenee “ad esclusivo vantaggio di industria petrolifera e monopolisti della ristorazione” e l’“espulsione dei gestori delle aree di servizio riservate a priori alla ristorazione, con un indennizzo assolutamente vago ed approssimativo”. I sindacati contestano anche la possibilità di recedere dal contratto con il gestore dopo 5 anni, “senza alcun onere se non quello di sgomberarlo dall’area di servizio”.
Faib, Anisa e Fegica hanno anche indetto una mobilitazione per il prossimo 20 ottobre. Ancora da decidere se si arriverà alla chiusura degli impianti. Il giorno non è casuale ma è esattamente quando saranno aperte le buste per l’assegnazione delle prime aree messe a gara a inizio estate da Autostrade per l’Italia. A proposito di nuovi bandi, Autostrade spinge sull’acceleratore. Oltre 300 affidamenti scadranno infatti il 31 dicembre prossimo e il rischio è di trovarsi con aree di servizio abbandonate, come ha detto prima dell’estate l’ex presidente Up, Alessandro Gilotti: dall’1 gennaio 2016 “potrebbe essere pregiudicata la continuità del servizio di distribuzione dei carburanti” in autostrada. Aspi ha quindi pubblicato in questi giorni due bandi per 64 aree di servizio e uno ne uscirà a metà ottobre per altre nove aree. Gli occhi sono quindi puntati sul Tar, che deve decidere se sospendere tutto o meno.