La destra italiana esce dalla due giorni dell’assemblea così come era entrata: frammentata. Patrimonio resta blindato. Ex sindaco annuncia che darà vita ad un Movimento per la destra unita
Dopo trattative infinite e duri scontri Fratelli d’Italia la spunta sui ‘quarantenni’ ispirati da Gianni Alemanno. E nulla cambia. La destra italiana esce infatti dalla due giorni dell’assemblea della Fondazione An così come era entrata: frammentata. Lo specchio della divisione è il voto che si consuma sulle due mozioni in gioco: la prima avanzata dai ‘quarantenni’ della destra diffusa e la seconda sostenuta da Fdi e alla fine vincente. Mozione che legittima, di fatto, la centralità del partito di Giorgia Meloni nel raccogliere l’eredità di Alleanza Nazionale.
Alla fine è infatti proprio la mozione di Fdi a passare con 276 voti a 222 voti (215 i voti incassati invece da una terza proposta, a prima firma di Nicola Bono) permettendo così a Meloni di tenere lo storico simbolo di An, che i quarantenni volevano invece ‘restituire’ alla Fondazione. Era invece già stato blindato in mattinata – con gli ex colonelli Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa e Altero Matteoli in prima fila – il patrimonio della Fondazione: 180 milioni in immobili e 60 milioni in conti correnti che più di un esponente dei quarantenni avrebbe voluto utilizzare, sia pure in piccola parte, per la promozione della nuova associazione che avrebbe fatto da ‘cappello’ alla destra unita. Ma alla fine anche i ‘quarantenni’ hanno fatto dietrofront, prevedendo che qualsiasi iniziativa fosse fatta “a spese degli iscritti”.
Ma il dato politico – ricostruisce l’Ansa – oltre alla ‘vittoria’ della mozione di Fdi, è che da quell’hotel Midas che nel ’76 vide l’incoronazione di Bettino Craxi a leader del Psi, la destra esce ancora divisa, lasciando immutate le distanze tra il gruppo dei quarantenni (e i tanti finiani presenti) e Giorgia Meloni che, una volta emersa la mancata intesa, sbotta: “E’ evidente ormai che la mia destra non è quella di Alemanno di Fini e di chi vuole continuare a dilaniare per avere un ruolo”. Un fastidio che, nel partito di Meloni, si dirige soprattutto verso Gianfranco Fini, ‘convitato di pietra‘ dell’assemblea e additato da molti, seppur non apertamente, come una delle causa della rottura dell’accordo.
Accordo che si rompe, dopo ore e ore di trattative, proprio sul ruolo di Fdi, con i ‘quarantenni’ che volevano dar vita ad un percorso parallelo sotto l’egida della Fondazione, in vista di un congresso, ad aprile, che desse vita ad una Nuova Alleanza Nazionale in cui tutti avessero “pari dignità” e con Fdi non più attore protagonista. Diversa la posizione di Fdi. “Il nostro obiettivo era uscire più aggregati” ma “c’era qualcuno che etero-dirigeva la trattativa e che non voleva l’accordo” puntando su soggetti paritetici, spiega La Russa laddove Alemanno sottolinea: “Il motivo del mancato accordo è semplice, c’era nella proposta il predominio assoluto di Fdi nel processo, ci si chiede di venire direttamente nel congresso”.
Alla fine, sia pur con poco più di 50 voti a prevalere è la mozione di Fdi con un congresso aperto ma targato Fdi-An da tenersi entro tre mesi e con Meloni che esulta: “Finalmente si fa chiarezza e si capisce a chi spetta il compito di aggregare la destra moderna”. Ma Alemanno non si arrende, annuncia che comunque darà vita ad un Movimento per la destra unita ed evidenzia: “Oggi ci siamo scontrati con le discipline di partito di FI e Fdi. Ci auguriamo che Fdi non si chiuda in se stesso”.