Una cucina in movimento. L’hanno definita così i ragazzi di Tobilì, perché vogliono “stupire i napoletani” con i loro piatti. I colori sono diversi da quelli della cucina mediterranea. I sapori pure. Ma l’idea c’è, e va avanti a grandi passi, con entusiasmo. Loro sono Susanna, Levent, Hora e Konaté e hanno deciso di lanciare Tobilì, il catering multietnico gestito da migranti. Siamo a Napoli, nel centro Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) lungo corso Garibaldi, nel cuore della città, dove la cooperativa Less ha lanciato e sostenuto il sogno di 4 richiedenti asilo.

Protagonisti del progetto sono uomini e donne con storie lunghe e diverse alle spalle. Susanna viene dall’Armenia e lavorava in un salone di bellezza; Levent, di etnia curda, ha provato in tutti i modi ad ottenere il permesso di soggiorno in Germania, senza riuscirci; Konaté, maliano, il più piccolo del gruppo, era iscritto al primo anno di una scuola professionale prima di “essere costretto a scappare”; Hosameldine, per tutti Hora, invece, è un avvocato di origini egiziane, catapultato a Napoli dopo aver lasciato il suo studio al Cairo.

“Sono stati loro a chiederci come fare per avviare la start-up”, dicono dalla cooperativa Less, che ha sostenuto il progetto

Tutto è nato dopo la partecipazione dei ragazzi ai cicli laboratoriali di cucina etnica all’interno dello Sprar di Napoli, organizzati da Less in collaborazione con l’Associazione culturale Frammenti e l’Università della Cucina Mediterranea di Sorrento, durante i quali i 4 migranti si sono appassionati al tema. “Sono stati loro a chiederci come fare per avviare la start-up”, racconta Daniela Fiore, cooperante di Less e responsabile del progetto.

I primi passi non sono stati facili. “Non sono mancati momenti di sconforto da parte dei ragazzi – ricorda Daniela – dovuti sia alle difficoltà linguistiche che si incontrano sia nella comprensione dei documenti sia alla complessità stessa di un progetto autonomo e autogestito come questo”. Alle prime insicurezze, poi, si sono aggiunte quelle legate all’accoglienza in una metropoli come Napoli: “Nei primi mesi ho avvertito una certa ostilità nei miei confronti – confessa Hora – La gente non fa tanta differenza tra gli stranieri”. Anche per Susanna all’inizio è stato “difficilissimo”, anche se le brutte esperienze sono passate e riconosce che “i napoletani sono molto disponibili e simpatici, perfino negli uffici pubblici”.

“Le difficoltà? Linguistiche e burocratiche. E all’inizio dell’attività bisognava sconfiggere la diffidenza

Ma perché proprio l’Italia? “Sono stato costretto a lasciare l’Egitto; ho scelto l’Italia proprio perché mi sembrava un Paese simile alla nostra cultura, ma più democratico”, racconta Hora. Levent, invece, ha sempre creduto che il nostro fosse uno dei Paesi più democratici d’Europa”. Discorso a parte per Konatè, che non ha avuto scelta: “Sono scappato dal Mali in Algeria: da lì ho avuto la possibilità di venire in Italia”.

Per aiutare i ragazzi a raggiungere il loro obiettivo è stata lanciata una raccolta fondi: i 5mila euro derivanti dalle donazioni serviranno a trasformare Tobilì in un’impresa autonoma e sostenibile. Le risorse raccolte, inoltre, saranno utilizzate per comprare un nuovo forno e un’impastatrice, ma anche pentole, teglie, posate, abiti da lavoro e vettovaglie per i primi catering. Ci sarà poi da noleggiare un furgoncino per il trasporto delle pietanze.

Ora Tobilì promuove corsi di cucina aperti a tutti e partecipa a eventi sul territorio. E il 15 ottobre sarà in piazza del Plebiscito

Il 23 luglio scorso, a Napoli, si è tenuto un primo evento di presentazione di Tobilì in occasione del quale i 4 migranti hanno preparato un aperitivo etnico aperto alla cittadinanza, si sono mostrati al pubblico e hanno ballato al ritmo di musica africana. A partire da settembre, poi, Tobilì, affiancata ad altre cooperative, promuove corsi di cucina aperti a tutti e partecipa a eventi sul territorio: il 15 ottobre per il catering multietnico si apriranno le porte di piazza del Plebiscito, durante una manifestazione organizzata dalla Fondazione Città della Scienza.

Tra dieci anni i 4 migranti si immaginano alla conduzione di un ristorante, magari sposati e con bambini, ma sempre a Napoli. “A giugno, pressato dalla mia famiglia, ho pensato di scappare in Francia – ricorda Konatè – ma giunto alla frontiera di Ventimiglia mi sono reso conto che stavo facendo una stupidaggine. Volevo restare in Italia”. “Oramai sono troppo abituata a questa città – continua Susanna – ho delle belle amicizie, e non vorrei ricominciare tutto da capo in un altro posto”. Di una cosa, però, sono sicuri: la cucina multietnica non spaventerà la tradizione locale. “Ai napoletani piace mangiare bene, il nostro compito è solo far provare cose nuove”.

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