Economia Occulta

Siria, il conflitto che ci riporta alla guerra fredda

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La crisi medio-orientale non accenna a migliorare. Putin è intervenuto, some sempre facendo tutto di testa propria e proteggendo i suoi interessi, sfruttando la riunione straordinaria tenutasi pochi giorni fa presso le Nazioni Unite per discutere come debellare lo Stato Islamico. Ed ecco la risposta russa: potenziando il regime di Assad, quello che ha risposto alla primavera araba siriana con le pallottole. Da alcuni giorni i cieli della Siria sono attraversati anche dai caccia russi, che ufficialmente combattano contro l’Isis ma de facto bombardano qualsiasi postazione ribelle. Naturalmente dalla Casa Bianca arrivano le solite parole di condanna ma intanto Putin non solo le ignora ma ha ricominciato a tessere la tela di ragno delle relazioni diplomatiche intorno ai poteri europei che contano, e cioè la Francia e la Germania. I motivi li conosciamo tutti: normalizzare la situazione in Ucraina e risolvere la questione delle sanzioni.

Colpisce l’impotenza degli Stati Uniti di fronte a Putin, e questa non è la prima volta che ciò succede tanto che viene da domandarsi dopo un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino se non ci siamo sbagliati su chi ha vinto la guerra fredda, ma questa è una questione che richiede un’analisi a parte. Per ora concentriamoci su a chi fa comodo l’entrata ufficiale russa nel conflitto siriano? Naturalmente ad Assad. Dopo quattro anni di guerra civile e la perdita del nord del paese, l’esercito siriano a mala pena può contare su 90 mila soldati, prima dello scoppio delle ostilità ne aveva 300 mila. Nonostante gli approvvigionamenti russi ed il supporto degli Iraniani attraverso gli Hezbollah, armi, caccia e piloti scarseggiano. Fa dunque comodo avere l’aviazione russa centrare con la precisione di un cecchino gli obiettivi giusti. Questi si chiamano la coalizione jihadista di Jaysh al Fateh, l’armata della vittoria, di cui fa parte anche al Nusra.

Indirettamente i bombardamenti russi sono positivi anche per lo Stato Islamico, in fondo colpiscono i suoi nemici, e cioè tutti i gruppi armati finanziati dai paesi del golfo e dalla grande coalizione occidentale che lo combattono. Ma c’è un altro aspetto che non va sottovalutato: più le bombe cadono più la gente scappa verso la Turchia, e l’Isis controlla i punti strategici di passaggio tra le due nazioni. Per ogni profugo che lascia la Siria i trafficanti di uomini pagano una tassa. Ma non basta, le bombe fanno anche bene al contrabbando, più si distrugge e più c’è bisogno di importare i beni di necessità basilari dalla farina ai medicinali al petrolio. L’Isis non solo contrabbanda questi prodotti, ad esempio il petrolio o le derrate agricole prodotti nei territori che controlla, ma tassa chi li smercia.

A detta di un negoziatore europeo che ha contrattato il pagamento del riscatto di alcuni ostaggi nelle mani dell’Isis nel 2014, ogni mese questa tassazione genera dai 300 mila ai 500 mila dollari per lo Stato Islamico. Si tratta di cifre da capogiro all’interno del conflitto siriano.

Anche la Russia ha il suo tornaconto. Definita la guerra santa da Putin, l’ingresso ufficiale di Mosca nel conflitto siriano rappresenta l’appendice di quello Ceceno. I veterani sopravvissuti si sono spostati in Siria già da qualche anno e adesso le forze fedeli a Putin domandano di poter seguirli per finire questa brutta storia una volta per tutte. Ma per ora anche Putin non intende spargere sangue russo. Certo tutto è possibile in questa moderna guerra per procura che a poco a poco sta riassumendo le caratteristiche di quelle classiche della guerra fredda.

Se nessuno fermerà Putin e se gli occidentali non la smetteranno di bombardare, l’esodo dei profughi continuerà con conseguenze umanitarie e politiche serissime per l’Europa ed il Medio Oriente. Possibile che la situazione sia sfuggita di mano a tutti? Tutte le parti in causa sono talmente concentrate a difendere la propria immagine mediatica ed a nascondere le politiche scellerate che hanno prodotto questa aberrazione da dimenticare lo scopo del conflitto: esportare la democrazia nel Medio Oriente. Impresa già fallita diverse volte negli ultimi 15 anni proprio per gli stessi motivi!