A giudicare dalla prima puntata, e salvo smentite nelle prossime, Crozza ha cambiato registro e, se per anni aveva lavorato sui materiali della politica-politica, divertendoci con la solfa dell’anticasta, oggi ha scelto di riferirsi alla società, cioè a noi stessi che, agitati dai nostri tic emozionali come la bimba di Inside-Out, diamo campo e materia alle stesse soperchierie che ci indignano. Quelle del marketing in primo luogo.

La Volkswagen prometteva tubi di scappamento sempre più ecologici e noi dietro, a comprare Euro dal numero sempre più elevato per sentirci “puliti dentro”. E per correre, con la macchina pseudo ecologica, a comprare l’ennesimo, ultimo modello di iPhone previsto dalla obsolescenza programmata, o a pagare a peso d’ora i ricambi di inchiostro della stampante che i pusher di HP e Samsung ci hanno quasi regalato. C’è, è vero, ma non sapremmo se classificarlo nella satira politica, il serial del Crozza-Marino. Ma forse non è un caso che proprio qui, in questo residuale accenno ai temi del Palazzo, le battute fatichino a farsi racconto. Sarà forse perché la figura di Marino è ancora sfocata e incerta. Cos’è? Un kamikaze dell’onesta? Uno che se la fa sotto coi Casamonica? O semplicemente un chirurgo dal carattere insopportabile, che neanche il dr House? In sintesi: è Calimero o l’Uomo Nero? Oppure non c’è niente da ridere?

Marino a parte il programma c’era, e bello solido, tant’è che il pubblico ha risposto con un 7,5% di share e una fedeltà d’ascolto (l’unico vero equivalente del mitico indice di gradimento) del 40%, una misura che viene concessa solo a qualcosa che davvero ti soddisfa. Un risultato superiore a quello delle ultime puntate della stagione passata. È solo l’effetto dell’attesa per il ritorno del programma o il segno di un sospiro di sollievo del pubblico per non essersi trovato di fronte all’ennesima galleria di maschere della politica? La risposta sarà interessante per capire non solo quale programma sta facendo Crozza, ma anche quale pubblico siamo noi.

E resta anche da vedere fino a che punto una tv commerciale sia nelle condizioni di sfruculiare per davvero le strategie di marketing delle grandi multinazionali senza rischiare una qualche difficoltà al momento di vendergli gli spot. Perché per i politici la satira è comunque pubblicità; mentre la pubblicità (che sotto sotto si spaccia per verità e utilità) mal sopporta di essere rovesciata dalla satira.

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