Per il premier riconfermato c'è lo spettro del ritorno alle urne già tra un anno se non troverà un equilibrio in parlamento. Tuttavia i cittadini portoghesi hanno punito solo relativamente, a differenza di Grecia o in Spagna, chi lo ha traghettato attraverso il tunnel della crisi con misure di austerità che ha lasciato in ginocchio il paese
Era l’occasione perfetta per fare i conti con il governo di Pedro Passos Coelho. Quello dei tagli, delle privatizzazioni e dell’aumento delle tasse. Una politica di austerità che perfino la Corte Costituzionale portoghese aveva cercato di rovesciare. Eppure domenica la destra ha riconquistato il Paese, ma senza maggioranza assoluta, così come annunciavano praticamente tutti gli exit poll. Portugal à Frente, la coalizione guidata dall’attuale premier portoghese ha ottenuto il 36,8% dei voti e poco meno di 100 deputati (erano 132 nel 2011). Ma per ottenere la maggioranza assoluta serviva raggiungere almeno il 45% e 116 seggi. Il nuovo esecutivo dovrà fare i conti con le cifre e cercare qualche escamotage per formare, secondo alcuni analisti, perfino un governo di minoranza. L’antico sfidante, il partito socialista guidato da António Costa si ferma al 32,3% e 80 deputati: nonostante la pesante sconfitta il leader ha già annunciato in nottata che non si dimetterà né farà alcun tipo di alleanze.
Dietro ai due grandi partiti tradizionali, si piazza il Bloco de Esquerda, il Syriza portoghese guidato da Caterina Martins e Mariana Mortágua, che ottiene il 10,2% e 17 seggi (nel 2011 erano 8) e supera a sorpresa la coalizione di comunisti e verdi (8,2%). “Se il presidente della Repubblica darà mandato per formare un governo di destra, voteremo contro”, dicono dal partito che chiede una rinegoziazione del debito, cui il leader dei socialisti si oppone, e la fine dell’austerità. Insomma “tutta è aperto” come scrive lunedì in un editoriale il quotidiano portoghese Publico: il premier Passos Coelho è più fragile, il partito perde migliaia di voti e il Parlamento sembra molto più colorato di prima. “Sarebbe strano che chi abbia vinto le elezioni non possa governare”, ha detto lo stesso premier del Portogallo, “ma è importante riconoscere che il Parlamento è diverso”. Senza una maggioranza, il presidente della Repubblica Anibal Cavaco Silva gioca un ruolo decisivo per il futuro del Paese. Se incaricherà Passos Coelho di formare un governo, la maggior parte del Parlamento voterà contro e in quel caso potrebbero essere indette nuove elezioni entro sei mesi.
Il Paese resterebbe in mano a un governo tecnico di centrodestra fino a metà del 2016, e se i socialisti non entreranno in gioco, il Portogallo potrebbe finire in una strada senza uscita. La vittoria di Portugal à Frente resta comunque la prima vittoria di un governo che ha applicato le dure ricette della troika per uscire dalla crisi. Lisbona è stata sempre l’alunna perfetta e un esempio da citare in lungo e largo per la cancelliera Angela Merkel, specialmente quando Syriza per la prima volta arrivava al governo di Atene con l’intenzione di rinegoziare il debito. Fu proprio Passos Celho il più duro tra i leader dei Paesi del Sud Europa, mostrandosi assolutamente contrario a qualsiasi piano di Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze di Atene. Durante i quattro anni di governo, tre dei quali con le ricette della troika, il centrodestra ha ridotto la disoccupazione di circa cinque punti e il deficit dal 7,5 al 3%, secondo le previsione per quest’anno, e ha portato avanti privatizzazioni per un valore circa di 10 miliardi di euro, ma nonostante questo il debito è aumentato fino al 128,5% del Pil. Tant’è che la campagna dell’esecutivo non è stata basata né su promesse sociali né su tagli fiscali: il peggio è passato, meglio non cambiare governo, è stato in sostanza il refrain di Coelho. Al di là dell’arco parlamentare più complicato da gestire – più a sinistra che a destra – che i portoghesi siano stanchi di tirare la cinghia lo dice chiaramente anche un altro dato: l’astensionismo da record. Più del 43% della popolazione è rimasta a casa. Un segno di sfiducia.