La direttrice Rai al festival di Ferrara per presentare il suo libro, "Terrore mediatico". E ricorda l'attacco alle Torri Gemelle: "Se si fossero aggiunte anche immagini di morti, si sarebbe generato un vulnus insanabile nell’opinione pubblica statunitense"
“I video dell’Isis sono strutturati come un videogioco per adolescenti. C’è una missione da portare a compimento e c’è un buono che per vincere il nemico deve ucciderlo fisicamente”. Monica Maggioni, direttrice della Rai, descrive così la tecnica di propaganda utilizzata dai combattenti dell’autoproclamato Stato Islamico. L’occasione è il Festival di Internazionale di Ferrara, dove la giornalista presenta il suo ultimo libro, “Terrore Mediatico”, che affronta l’evoluzione del racconto di cronaca degli atti terroristici attraverso i mezzi di comunicazione.
Prima di arrivare alla mattanza nella redazione di Charlie Hebdo e alle decapitazioni del Califfato, Maggioni – in passato inviata di guerra in Siria, Iraq e Afghanistan – sottolinea come già nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, non siano mai stati diffusi foto e video che ritraessero le vittime. “La tragedia e lo sgomento generati dal crollo delle Twin Towers sono stati senza precedenti. Se si fossero aggiunte anche immagini di morti, si sarebbe generato un vulnus insanabile nell’opinione pubblica statunitense”. Da allora, ovvero dagli anni di Al Qaeda, la comunicazione e la propaganda dei gruppi terroristici si si sono notevolmente evolute.
La scelta della Maggioni, quando era alla direzione di Rai News, è stata di “non mandare in onda i video dell’Isis proprio perché era evidente che si trattasse di mezzi di propaganda confezionati ad hoc per impaurire e influenzare l’Occidente”. Gli unici fotogrammi che ha deciso di trasmettere sono stati quelli giustificati dal diritto di cronaca. Quindi, ha precisato, “nulla è stato mandato in onda così come confezionato dai jihadisti”.
Per la direttrice della Rai la modalità di propaganda dell’Isis è descrivibile come “una sorta di Hollywood del terrore”, un’industria macabra alla quale si reagisce “continuando a raccontare quanto accade da giornalisti. Cioè mettendoci tra l’Isis, la sua propaganda e lo spettatore. Il lavoro del giornalista è questo”. Una difficoltà di cui il cronista, specie se inviato in zone di guerra, si deve fare carico, “scegliendo cosa mostrare su quotidiani o tg. Le immagini e i video hanno sempre fatto presa sul pubblico più di mille parole e la maggioranza dell’opinione pubblica, siccome non è solita prendersi il tempo di leggere per capire a fondo un determinato tema d’attualità, si lascia influenzare dalle immagini e dai video. Che, però, va contestualizzato e spiegato”.