In tre ore sono caduti quasi 18 centimetri di pioggia a Cannes e 16 a Mandelieu-la-Napoule; quasi 12 a Nizza in 24 ore. Sono valori robusti, ma non rarissimi. A Nizza nel 1973 ne caddero ben 19 in 24 ore; nella valle del Var, a Comps-Sur-Artuby, hanno misurato più di 30 centimetri in un giorno, il 26 ottobre 2010; e sulle sponde del Mediterraneo, una settimana fa, hanno misurato quasi 29 centimetri di pioggia in 24 ore nelle isole Sporadi della Grecia e 22 ad Alicarnasso (Bodrum) in Turchia. Venti giorni prima ne sono caduti 33 in 4 ore nell’alto piacentino e 8 a Genova; e ben 8 centimetri in un’ora nella regione spagnola di Granada la settimana precedente. Insomma, a settembre piove; e spesso piove forte: ci vuole un elenco telefonico per enumerare i nubifragi ‘eccezionali’ che, solo da inizio secolo, hanno colpito quest’area molto vulnerabile del pianeta. Perciò parlare ancora di periodo di ritorno dei nubifragi e delle piene ha poco senso, anche statisticamente. Ed è privo di senso postulare che piena e nubifragio abbiano lo stesso periodo di ritorno, un’evidenza dimostrata già 40 anni fa.
Di questo potremo anche discutere in futuro, perché non mancheranno le occasioni. Il disastro francese stimola anche altre riflessioni, di tipo più specifico.
La storia di Nizza e del suo sviluppo urbano è fortemente legata ai suoi principali corsi d’acqua, il Paillon e il Var. L’invasione delle aree riparie di questi due fiumi è il segno più evidente di due epoche diverse per lo sviluppo della città: il centro storico di Nizza – costruito sulle sponde del Paillon – e la città di domani – quella che sta sorgendo lungo il fiume Var. In entrambi i casi l’inondabilità è acclarata ma le risposte istituzionali sono assai diverse, sia in termini di governance, sia di soluzioni.
Il Paillon (Paglione) è un corso d’acqua urbano che scorre nel cuore di Nizza. Un sosia del Bisagno genovese. Lungo 36 chilometri, drena un bacino di 95 chilometri quadrati, giusto quanti il Bisagno. Come i genovesi che usano il loro torrente per rifornire la città d’acqua di buona qualità da dieci secoli, i nizzardi da sempre sfruttano le portate irregolari del Paglione con captazioni e sbarramenti, storicamente chiamati bastardacci, a scopo potabile, irriguo ed energetico. La città medievale si è perciò sviluppata lungo il corso del fiume e la progressiva urbanizzazione delle sue sponde ha ritmato l’evoluzione della città. A partire dalla metà del XIX secolo, il tronco terminale ha subito varie trasformazioni, anche per via della vocazione turistica appena scoperta dalla patria di Garibaldi. La fame di spazio urbano da costruire è stata perciò soddisfatta dalle varie amministrazioni coprendo il corso del Paglione, dove sono state collocate istituzioni culturali e amministrative di pregio e, ultimamente, perfino progetti di sviluppo sostenibile. Una fatica iniziata nel 1868, Garibaldi vivente, e terminata nel 1972, più di un secolo dopo.
Anche se il Paglione non è un fiume, è pur sempre un torrentello ‘focoso’ perfino secondo Wikipedia, che elenca le sue numerose piene dal 1241 al 1994, con portate confrontabili a quelle del Bisagno, superiori a mille metri cubi al secondo. Non è poco, se pensiamo che il Po, mille volte più esteso, ha massime piene solo dieci volte maggiori. Poiché non è un fiume di pertinenza statale, il Paglione è gestito a livello locale da un’associazione intercomunale, creata ad hoc per affrontare i problemi idrologici e coordinare il “Contratto di fiume” secondo la direttiva europea sulle alluvioni. Questo strumento definisce un quadro di ‘governance’ specifica che comprende sia il rischio alluvionale, sia la gestione delle risorse idriche.
Dopo un iniziale sviluppo caotico, l’area del Var è soggetta dal 2009 a una regia nazionale. Essa unisce e integra sviluppo economico e sostenibilità ambientale – incluso il rischio di inondazioni – in un progetto unitario chiamato Operazione di Interesse Nazionale Éco-Vallée. La filosofia della mitigazione si basa su una dottrina locale di gestione del rischio, elaborata per combinare ‘opposti’ obiettivi (espansione urbana ed economica contro sostenibilità ambientale) e stabilire la base giuridica per farlo, contestando la normativa nazionale sulle inondazioni nel quadro di un progetto territoriale specifico.
Senza entrare nel dettaglio di una realtà culturale e amministrativa diversa dalla nostra, sarebbe utile approfondire quale delle due impostazioni abbia retto meglio l’impatto del disastro di questi giorni, soprattutto in termini di resilienza, poiché l’evento meteorologico e idrologico non ha incontrato un territorio molto pronto, almeno in apparenza, a sostenerne nel migliore dei modi gli effetti al suolo del nubifragio.