Diritti

Charamsa e il lato più oscuro del celibato

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I casi della vita. Una decina di giorni fa ho inaugurato il mio blog sul sito del Fatto Quotidiano con un pezzo sul celibato obbligatorio dei sacerdoti estratto da una puntata domenicale della mia inchiesta sulla Chiesa. In quell’articolo sostenevo, tra le altre cose, che il celibato è una regola crudele molto spesso non rispettata dai sacerdoti e che tra questi ultimi sono molti gli omosessuali. Queste affermazioni, pur condivise da molti lettori, hanno scatenato in altri un moto rabbioso. Qualcuno ha ironizzato sulle mie competenze accademiche, qualcun altro ha ipotizzato un mio grave disordine sessuale, altri mi hanno augurato una punizione divina, altri ancora sono arrivati alle soglie della minaccia fisica.

Non oso immaginare la reazione di quegli stessi lettori di fronte al coming out del teologo polacco don Krzysztof Charamsa. Vestito da prete, con tanto di collarino, ha rivelato che “sono tantissimi i sacerdoti omosessuali che non hanno la forza di uscire dall’armadio”. Esattamente quel che avevo scritto io solo qualche giorno prima.

Immagino che Don Krzysztof, promettente teologo quarantenne finora in servizio presso la congregazione per la Dottrina della Fede e docente in alcune università cattoliche romane, abbia frequentato gli ambienti clericali polacchi e italiani molto più a lungo e molto più in profondità dei tanti nostri lettori ai quali il mio articolo ha fatto venire il mal di pancia. Credo che ci sia da fidarsi più di lui che di tanti di loro.

Del resto, l’esistenza del fenomeno è sotto gli occhi di tutti coloro che abbiano un po’ di dimestichezza con gli ambienti ecclesiali, che abbiano frequentato, come ho fatto io in questi anni, centinaia di parrocchie e molti sacerdoti. Tanti tra questi ultimi di orientamento eterosessuale, ad ogni latitudine della penisola, mi hanno rivelato, talvolta con toni vagamente omofobi, la loro profonda preoccupazione per la crescita esponenziale del numero di gay tra i ranghi del clero. Mi sono stati raccontati molti episodi e alcune volte mi sono stati addirittura presentati ex fidanzati “laici” di qualche prete. In modo che non avessi dubbi.

Gli stessi preti etero individuano spesso nell’accresciuta tolleranza dei vescovi, che non si rassegnerebbero a perdere dei potenziali funzionari e che quindi impedirebbero la cacciata degli omosessuali dai seminari, una delle ragioni principali del fenomeno. Ma non certo l’unica: il celibato obbligatorio costituisce per molti ragazzi omosessuali che non vogliono, anche inconsciamente, accettare il proprio orientamento sessuale uno splendido luogo dove la questione della sessualità viene rimossa, cancellata, non vissuta. Almeno per qualche tempo. Fino a quando esplode, spesso sotto forma di un innamoramento: per un proprio compagno di studi o per qualcuno all’esterno. Creando, perché vissuta come peccaminosa, sbagliata, spaventosa, una marea di danni psicologici nel giovane prete o seminarista e nell’ambiente che lo circonda. Un ambiente, almeno negli anni di seminario, rigorosamente maschile. Dove le donne principali sono le mamme, le sorelle e le immagini idealizzate e angelicate delle sante e della Madonna.

Per giunta, in virtù di qualche interessante intreccio psico-sociale questo ambiente produce anche quella “paranoica omofobia” denunciata ieri dal prete polacco. Vittima e carnefice soggiornano nelle stesse stanze: molti preti omosessuali coltivano una “paranoica omofobia”. A subire i loro strali però è l’omosessualità serena, consapevole, gioiosa, quella di coloro che vivono le relazioni affettive alla luce del sole, quelli che casomai vorrebbero sposarsi, fare una famiglia e assumersi le proprie responsabilità verso un compagno amato e rispettato. Sono quelli l’oggetto dell’omofobia dell’ex Sant’Uffizio che don Charamsa ha denunciato.

Che strano mondo. Non è l’ora di cambiarlo?

Il Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2015