Il ministro della Difesa Roberta Pinotti è pronta ad inviare mille soldati di servizio nei territori della Campania, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ai 50 equipaggi di polizia promessi rilancia con altri 200 agenti in più per rafforzare la Questura e i commissariati di Napoli. Segnali importanti. Lo Stato si è svegliato dal torpore e imbocca la strada più semplice e più mediatica. Il risultato è immediato: una maggiore percezione della sicurezza da parte dei cittadini. Le domande sono altre: è un deterrente efficace contro la spavalderia dei clan? In concreto: è sufficiente l’aumento temporaneo degli organici per contrastare la criminalità organizzata? Alla militarizzazione dei quartieri partenopei corrisponde una attenta strategia investigativa? I vuoti o gli spazi riconquistati saranno occupati con iniziative e progetti educativi di medio e lungo periodo? Mostrare i muscoli oltre alle cifre delle fredde statistiche garantirà risultati diciamo strutturali? Sembra un film già visto.
Parto da una constatazione: il fenomeno delle camorre non lo si studia più. Una distrazione grave, gravissima. Gli eventi, i fatti, gli avvenimenti vengono letti uno staccato dall’altro. Non c’è una visione unitaria, scientifica, storica. Il mostro per colpirlo occorre conoscerlo. Ci sono centri nervosi criminali che restano intatti e si riadeguano ai cambiamenti. Il facimm ammuina a che e a chi serve? Bisogna lavorare di cesello. Mettere l’orecchio a terra. Affinare gli strumenti. Ad esempio nelle molte ordinanze emerge una verità incontrovertibile e ricorrente: i camorristi si muovono su mezzi a due ruote. E’ la scoperta dell’acqua calda. Però c’è un però. Scooter e moto debitamente modificate sono in uso alle paranze, ai gruppi di fuoco, alla criminalità predatoria (scippatori di Rolex). Dalle carte delle diverse inchieste viene fuori un comune modus operandi dei guaglioni: l’utilizzo di deteminati modelli di moto testati e adottati dai clan o dai gruppi gangheristici. I più gettonati sono Honda – SH 300, Yamaha – T-Max 500, Piaggio – Beverly 300, Aprilia – Sportcity 300, Piaggio – Skipper.
Mi sono chiesto ed ho chiesto: perché a Napoli e nell’hinterland non si sequestrano e confiscano i mezzi a due ruote adoperati dal crimine? Il questore di Napoli Guido Marino sconsolato mi ha detto: “Da mesi in Prefettura pongo il problema. Le moto, gli scooter una volta sequestrati non sappiamo dove metterli. Insomma dobbiamo restituirli in custodia ai proprietari. Non abbiamo le depositerie giudiziarie e spazi attivi dove tenere in giacenza i mezzi”. A Napoli praticamente killer e scippatori sono liberi di scorrazzare nei vicoli e nelle strade e commettere omicidi, ferimenti e attentati. Le forze dell’ordine non possono fermarli preventivamente. I carri attrezzi restano in garage. Paradossi su paradossi. Senza parole. L’unica depositeria disponibile ma è della polizia municipale è quella di via Campegna a Fuorigrotta. Allora pensi, rifletti, metti insieme i fatti, li frulli e cominci a capire cosa è davvero la camorra. Casualmente sono almeno tre anni e forse più che puntualmente le poche depositerie giudiziarie dislocate tra Napoli e i Comuni alle porte della città vengono distrutte da improvvisi incendi. Guarda caso nel mirino finiscono proprio quelle strutture di cui si servono le forze dell’ordine. Coincidenze astrali. Destino baro. L’ultimo grande rogo è scoppiato a fine agosto (i mesi estivi sono quelli prediletti). Il capannone della ditta “De Luca” in via Selva Piccola a Giugliano è stato avvolto dalle fiamme. In fumo sono finiti oltre trecento veicoli. Non è un caso isolato.
Quattro anni prima, sempre sul finire di agosto, un vasto incendio distruggerà il deposito giudiziario della ditta “Scarpato” nella zona di via del Cassano, quartiere Secondigliano, a pochi passi dal cimitero. Alla fine risulteranno distrutti trecento fra ciclomotori, motociclette e autocarri sottoposti a sequestro per i reati stradali commessi dai proprietari o ritrovati dopo un furto. Il 21 febbraio 2010, invece, in cenere finirà il deposito giudiziario “Scognamiglio” in via Botteghelle nel quartiere Ponticelli. Il 30 agosto del 2008 è la volta di quello della ditta “Mario Pace”, in via Uldarico Masoni, tra piazza Capodichino e la zona dei Ponti Rossi. Anche in questo caso distrutti tutti i veicoli in custodia. Lo stesso capannone era già stato dato alle fiamme qualche anno prima.
Andando più indietro con il tempo – il primo agosto del 2006 – tocca al deposito giudiziario di Pomigliano d’ Arco. Le colonne di fumo nero costringeranno addirittura la chiusura a titolo precauzionale di un ampio tratto dell’ autostrada A16. Si scoprirà che lo stesso deposito era già stato preso di mira da ignoti in un altro incendio.
Quando poi non è doloso è il destino a mettersi contro. A fine settembre scorso, infatti, con la prima vera burrasca di autunno, cade un fulmine e centra un deposito giudiziario di auto e moto sequestrate di via Duca D’Aosta a Casoria della ditta “D.G.”. Cause naturali dell’incendio non ci sono dubbi, però che sfiga.
Sacrosanto inviare più divise a Napoli e garantire un maggiore controllo del territorio però si dovrebbe anche capire la natura dei problemi e intervenire per rendere la lotta al contrasto della camorra più incisa e strategica. Ci sono molte aree dismesse e inutilizzate tra Napoli e l’hinterland, ecco la Prefettura potrebbe in poco tempo e con pochi soldi allestire in sicurezza luoghi ad hoc e restituire alle forze dell’ordine uno strumento importantissimo: il sequestro e l’eventuale confisca di scooter e moto dei clan.