Via libera all'articolo 7 su ineleggibilità e incompatibilità e all'articolo 10 sulla funzione legislativa. Il capogruppo M5s a Grasso: "Come l'arbitro Moreno". Lui replica: "E' offensivo". Tra i Cinque Stelle scoppia il caso Fucksia: lite con la Lezzi, "sei disgustosa"
La maggioranza supera due voti segreti sugli emendamenti al disegno di legge sulle riforme istituzionali. Ma lo fa senza arrivare alla quota dei 161, cioè la maggioranza al Senato. Qualche esponente delle opposizioni cerca la polemica, come Maurizio Gasparri (Forza Italia): “Con il voto segreto, la presunta maggioranza è scesa intorno ai 150 voti ed è quindi minoranza rispetto al plenum del Senato. Si possono fare riforme costituzionali così?”. La questione, tuttavia, è da rovesciare: se Pd, Area Popolare e gli altri favorevoli al testo sono riusciti a far passare la propria linea senza la maggioranza assoluta significa che le altre minoranze non c’erano. Altro che barricate.
Lo scrutinio segreto è stato applicato a due emendamenti all’articolo 10, che riforma il processo legislativo. In un primo caso la proposta di modifica, presentata dal leghista Roberto Calderoli, è stata respinta con 153 voti, ma il fronte dell’opposizione non ha superato i 131 voti, che sono più della media di 80 dei giorni scorsi, ma non abbastanza. Al secondo voto l’Aula ha bocciato un emendamento che riguardava le minoranze linguistiche con 154 no, 136 sì e 3 astenuti (che com’è noto a Palazzo Madama valgono come voti contrari). “Fisiologico accada nel voto segreto”, gettano acqua sul fuoco dalla maggioranza. “Bisogna anche vedere che hanno fatto, per dire, i nostri tre dissidenti”, dicono in ambienti dem riferendosi a Walter Tocci, Corradino Mineo e Felice Casson. La maggioranza minimizza. Il Partito democratico, dice l’AdnKronos, calcola che i franchi tiratori siano stati tra i 7 e i 9. A questi si unirebbe la tensione con Ncd sulle unioni civili. Poi le assenze tra i democratici come il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Alla fine comunque il Senato ha dato l’ok finale all’articolo 10, che modifica l’articolo 70 della Costituzione sul procedimento legislativo affidato a Camera e Senato: i voti favorevoli sono stati 165, con 107 contrari e 5 astenuti.
Le opposizioni decidono la “resistenza passiva”
In precedenza, peraltro, il senatore M5s Maurizio Buccarella aveva denunciato alcuni “pianisti”, cioè senatori che votano per colleghi assenti, in particolare tra i verdiniani. Il presidente Piero Grasso ha invitato quindi i segretari d’Aula a verificare la presenza di tessere negli scranni in cui non sono presenti senatori. Sull’articolo 10, tra l’altro, le opposizioni hanno deciso di fare “resistenza passiva”: non prendono la parola, ma fanno dichiarazioni di voto per indicare di “essere ostaggio della maggioranza” ha spiegato il capogruppo della Lega Nord Gianmarco Centinaio dopo la riunione con i capigruppo di Forza Italia Paolo Romani, Movimento Cinque Stelle Gianluca Castaldi e del Misto Loredana De Petris (Sel) e gli esponenti dei Conservatori e Riformisti (i fittiani) Tito Di Maggio, berlusconiani come Gasparri e Lucio Malan, il leghista Roberto Calderoli, l’ex M5s ora nel Misto Maria Mussini e il grillino Giovanni Endrizzi.
Ok all’articolo 7. No voto per decadenza nuovi senatori
Intanto in giornata è stato approvato l’articolo 7 del ddl Boschi su ammissione, ineleggibilità e incompatibilità dei futuri senatori (“non servirà più il voto per la decadenza dei futuri senatori”). L’Aula si è espressa a favore dell’articolo 7 con 166 sì, 56 no e 5 astenuti: è la parte che modifica l’articolo 66 della Costituzione e prevede che Palazzo Madama prenda atto “dell’avvenuta decadenza da senatore”, senza prevedere un voto (com’è avvenuto per esempio due anni fa per Silvio Berlusconi). Lega Nord e Forza Italia hanno ritirato la maggior parte degli emendamenti (circa 35mila) in cambio della disponibilità del governo ad affrontare nel merito punti più caldi della riforma come, ad esempio, l’articolo 10. Nella versione definitiva dell’articolo 7 viene previsto che sarà ciascuna Camera a giudicare i titoli di ammissione dei suoi componenti e le cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Il Senato si limiterà a prendere atto dell’avvenuta decadenza da senatore.
Castaldi a Grasso: “Come l’arbitro Moreno”. La replica: “Offensivo”
Intanto continua la polemica delle opposizioni nei confronti della conduzione dei lavori da parte del presidente Grasso. Ad attaccarlo è stato in particolare il capogruppo dei Cinque Stelle Gianluca Castaldi: “Lei usa il regolamento come il Postalmarket“. Castaldi ha poi rincarato la dose paragonando Grasso all’arbitro Byron Moreno, divenuto famoso per un discutibile arbitraggio nei confronti dell’Italia nel corso dei Mondiali in Corea del 2002. Grasso ha subito replicato: “È altamente offensivo. Non credo assolutamente di meritare l’accostamento che lei ha fatto”. Rivolto a Castaldi ha anche aggiunto: “Questo accostamento non glielo consento, visto che accanto ha un esperto arbitro e sa bene cosa significhi”. Il riferimento è a Vincenzo Santangelo (ex capogruppo dei Cinque Stelle) che in passato ha fatto l’arbitro di calcio.
Il M5s e il caso Fucksia: lite con la Lezzi, “Sei disgustosa”
Nel frattempo all’interno dei Cinque Stelle sta diventando sempre più un problema il rapporto dei senatori con la collega Serenella Fucksia, 49 anni, medico legale di Fabriano. Secondo un retroscena dell’AdnKronos, durante un’assemblea del gruppo del M5s a Palazzo Madama, lo scontro aperto è avvenuto questa volta con Barbara Lezzi, vittima dei gesti osceni dei senatori verdiniani di Ala. “Sei disgustosa – ha gridato la Lezzi alla Fucksia – come donna e come parlamentare. Sono davvero stufa, vattene”. A calmare le due sono intervenuti alcuni colleghi. La Fucksia è stata accusata di essere più solidale con i colleghi di altri gruppi che con i suoi. Lei, fermata dai cronisti all’uscita dall’Aula, ha minimizzato: “Sciocchezze”. I “precedenti” imputati alla Fucksia, peraltro, sono noti: uno riguarda il “travaglio” sul voto per l’arresto del senatore Giovanni Bilardi (Ncd) in giunta per le immunità (poi fu convinta). L’altro è invece il no che ha salvato Roberto Calderoli dal processo per razzismo sulla vicenda Kyenge.