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Deposito di Paperon de’ Paperoni, a Livorno tutti con il fumettista Caluri per trasformare il (cadente) mausoleo di Ciano

L’appello è rivolto al sindaco Filippo Nogarin, ai suoi assessori e agli “amici Disney“: per restituire “dignità e prestigio” a ciò che resta di quello che avrebbe dovuto essere il Mausoleo di Ciano, a Livorno, trasformiamolo nel deposito di Zio Paperone. E visto che l’appello è lanciato da uno che di disegni e colori ha fatto un mestiere – il fumettista Daniele Caluri – c’è già anche un rendering, come per ogni buon progetto degno di questo nome: il quadratone alto 17 metri che sovrasta Livorno da Monteburrone colorato di azzurro, rosso e giallo con la grande S simbolo del dollaro. “Restituiamo nuova dignità e prestigio a questo relitto dimenticato da Dio e dagli uomini, con l’esclusione di qualche babbeo nostalgico, e ridiamo impulso al turismo migliore nella nostra città” scrive Caluri in un post su facebook travolto da 10mila “mi piace” e 5mila condivisioni.

Caluri, 44 anni, ha lavorato per 25 anni per il Vernacoliere, per il quale è stato autore di Fava di Lesso, Luana la bebisitter e Don Zauker, un sacerdote esorcista sboccato e anticattolico. Ha lavorato anche a svariati numeri di Martin Mystere e insegna disegno e storia dell’arte in un liceo della propria città. “Completamente vittima del mio senso civico – racconta Caluri – rendo nota quindi l’iniziativa di cui mi vorrei far promotore: salviamo il Mausoleo di Ciano, trasformandolo nel deposito di Zio Paperone”.

L’idea, tuttavia, non è nuova. Era spuntata su facebook già a novembre 2014, per mano di un altro livornese che di professione fa il grafico pubblicitario, Stefano Lucarelli. “Il mio sogno di ragazzino – scriveva –  trasformare il monumento a Ciano nel deposito di Paperon de’ Paperoni, ci sarebbe da aggiungere solo la cupola”. 

E peraltro la questione è serissima. Il mausoleo che sarebbe dovuto sorgere in onore a Costanzo Ciano ha superato 75 anni di storia nonostante Livorno abbia assunto nei decenni l’immagine della capitale dei “rossi” e dell’antifascismo, a maggior ragione come culla del comunismo italiano (la scissione dei socialisti, Gramsci e Bordiga, il teatro Goldoni e il teatro San Marco dove pioveva dentro, eccetera). Quel monumento, che oggi a Livorno chiamano distrattamente monumentacciano, tutto attaccato, lo volle il fascismo dopo che il gerarca del fascismo, Costanzo, passò a miglior vita. Ora è diventato una specie di discarica immersa all’inizio dei boschi delle colline che circondano Livorno, con un passato da posto perfetto per la camporella, un passato prossimo di chi ogni tanto minaccia di buttarsi giù per farla finita e un presente tra rifiuti di ogni tipo. Il panorama da cartolina sul mare e sulle isole dell’Arcipelago non riescono a cancellare il degrado.

Prima ministro delle Comunicazioni per dieci anni, poi presidente della Camera per altri 5, Ciano era uno dei più potenti dirigenti di Mussolini. Oltre che consuocero: a sposare Edda Mussolini fu infatti suo figlio Galeazzo, che poi avrà un luminoso futuro di ministro degli Esteri che firmò il Patto d’acciaio con la Germania nazista di Adolf Hitler. Costanzo Ciano era l’unico che poteva permettersi di non temere il Duce. Ex ufficiale della Marina, eroe di guerra, si portava dietro come curriculum la medaglia d’oro per la beffa di Buccari, uno dei primi episodi di riscatto dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto. Nato in provincia di Lucca, fu Ciano – insieme ad altri – a guidare lo squadrone nero che nel 1922 defenestrò il sindaco socialista di Livorno, Uberto Mondolfi.

A Livorno, durante il Ventennio, Ciano regalò l’ospedale lungo la vecchia Aurelia (dove ancora i livornesi si curano) e lo stadio all’Ardenza (dove la squadra di serie B ancora gioca). Livorno dimostrò la propria riconoscenza affibbiandogli un soprannome: Ganascia. Mangiava ai quattro palmenti, come dicono da quelle parti, e non solo a pranzo e a cena. Lo chiamarono così perché ingrossava non solo la pancia, ma anche i conti in banca grazie ai conflitti d’interessi in cui era ben immerso. Ciano morì all’inizio dell’estate del 1939, due mesi prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale e il regime fascista fosse divorato dalla bufera. 

Ma ci fu abbastanza tempo per decidere di erigere il mausoleo in onore al gigantesco benefattore della città. Così enormi furono anche l’idea, il progetto, l’entusiasmo e il monumento che avrebbe dovuto ospitare la salma del gerarca e dei suoi familiari (e invece). La celebrazione della grandeur del grande Costanzo non fu finanziata né dalla famiglia né dallo Stato fascista, ma grazie a una sottoscrizione pubblica aperta dal solerte podestà. Sopra al grande quadratone di 17 metri oggi visibile da più zone della città come una macchia grigiagnola in mezzo al verde della macchia mediterranea i fascisti avrebbero voluto sistemare una statua di 12 metri e un faro di oltre 50 metri naturalmente della forma di un fascio littorio, che fu realizzato in parte e poi demolito a suon di bombe dai tedeschi.

Il problema, infatti, è che finì tutto in macerie: il fascismo e anche il monumentacciano. Così la statua di Ciano, mezza fatta e mezza no, è rimasta nella cava dell’isola di Santo Stefano, alla Maddalena. Dentro c’erano colonne in stile classico, scale, l’ascensore. Ora è abbandonata da decenni, come testimoniano – oltre ai calcinacci e ai sacchetti dell’immondizia – i graffiti a vernice spray e i profilattici usati, nessuno di questi con l’ambizione di essere più di un divertimento lungo un pomeriggio. La proprietà di questo rottame, naturalmente, è il Demanio.