Ribelle a cosa e a chi? All’idea balorda che il luogo deputato all’apprendimento e alla crescita della consapevolezza civile e politica possa concretizzarsi in una terra di limitazione e privazione, esattamente come la legge 107 configura la scuola italiana. Una scuola in cui, intenzionalmente, vengono soppressi spazi di democrazia, di esercizio della partecipazione, di espressione della divergenza. È la scuola del Pensiero Unico, quella della 107. In cui una persona, il dirigente, con il suo staff accuratamente “selezionato”, determinerà o tenterà di determinare – a seconda di quale sarà la nostra capacità di resistenza – condizioni, habitat, rapporti di forza e gerarchie in cui gli studenti potranno apprendere e crescere; e – c’è da scommettere, manca poco – cosa apprendere e in che modo. A scuola non si esercita esclusivamente il sacrosanto diritto all’apprendimento dei contenuti delle discipline; ma si dovrebbe, attraverso la condivisione, la partecipazione, la dialettica, la negoziazione dei significati, conquistare progressivamente l’esercizio della cittadinanza attiva, della consapevolezza di una attitudine alla democrazia che – una volta fuori – potrà costituire una risorsa per la collettività. Questo diritto è compresso nei limiti angusti dell’invalsizzazione; in un decisionismo che può sfociare in autoritarismo; nella sterilità di una valutazione che assume ostinatamente i caratteri della punitività, rinunciando definitivamente a quelli della narrazione e della formazione, fondamentali per accompagnare lo sviluppo e l’ottimizzazione dell’espressione del sé. A conclusione di un processo iniziato almeno una ventina di anni fa.
È una scuola – quella della 107 – che fa parti diverse tra uguali; nella quale i giovani cittadini, selezionati su base socio-economica, frequenteranno scuole anch’esse determinate sulla base di ubicazione nel territorio ed utenza: i nati bene con i propri simili, i figli di un dio minore tra loro. I primi con opportunità ulteriori, al netto dei privilegi di nascita; gli altri assecondati nelle loro condizioni di partenza. Una scuola, dunque, che – grazie all’entrata dei privati e dei finanziamenti, grazie ad una Repubblica che si sottrae al suo compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, delegando il compito a chi ha come finalità la creazione di profitto e non l’uguaglianza delle opportunità – non si fa più strumento di promozione sociale, ma immobilizza destini economicamente e culturalmente determinati. Gli spazi per l’esercizio del diritto allo studio – oggetto peraltro di una “delega in bianco” al governo, prevista dalla 107 – limitati e compressi come se la scuola non costituisse uno strumento dell’interesse generale.
L’Uds, tra i sostenitori della Lipscuola, sta partecipando alla rielaborazione del testo della legge di iniziativa popolare per la Buona Scuola per la Repubblica, impegnandosi proprio sui temi del diritto allo studio e dell’istruzione tecnico-professionale. Su questi ed altri punti chiave del sistema dell’istruzione, lo scorso anno era stata pubblicata l’Altra scuola, con l’individuazione di 7 priorità assolutamente irrinunciabili per modificare il sistema scolastico italiano.
Il fronte del dissenso alla legge 107, la cosiddetta Buona Scuola, come è evidente, dopo uno spumeggiante inizio di anno scolastico, inaugurato dall’assemblea di Bologna e ribadito nella partecipatissima assemblea di Firenze, sta subendo – è innegabile – una battuta di arresto. Contribuiscono a questa condizione fattori eterogenei, a cominciare dagli impegni che caratterizzano l’avvio dell’anno e dalle prime – pesanti – emergenze conseguenze della “riforma” che le scuole sono chiamate ad affrontare: comitato di valutazione e Ptof (la cui approvazione è stata rimandata al 15 gennaio). Un ruolo non neutro lo sta giocando un certo sentimento di rassegnazione, che serpeggia tra molti di coloro che – il 5 maggio – hanno partecipato allo sciopero più imponente del comparto scuola e hanno poi continuato a protestare, in particolare contro il voto di fiducia al Senato attraverso il quale il governo ha deciso di imporre la sua triste visione della scuola. D’altra parte è di ogni evidenza che il fronte sindacale, ineditamente coeso durante la primavera, ha rallentato la propria partecipazione alla protesta, reclinandosi sulla rivendicazione che maggiormente lo caratterizza: quella del rinnovo contrattuale. In questo clima incredibilmente ed irresponsabilmente soporifero – il contrasto ai provvedimenti è ancora possibile, usando le prerogative degli organi collegiali, ancora relativamente intatte; coinvolgendo i genitori che, soprattutto nei primi cicli, stanno subendo le conseguenze dell’assenza di personale Ata nelle scuole e l’evidenza che la “supplentite”, come beffardamente annunciato dal governo, non è stata affatto debellata; ci si dovrebbe infine ricordare che la l. 107 prevede un numero allarmante di deleghe in bianco, anche su temi particolarmente strategici per la scuola pubblica, per le quali gli incontri sono appena iniziati – sono gli studenti a promuovere una giornata di mobilitazione.
Rete della Conoscenza e Unione degli Studenti saranno in piazza il 9 ottobre: per una formazione aperta e gratuita per tutti, non subordinata agli interessi dei privati, e contro una legge passata con un voto illegittimo, lontano dal Paese reale; per un welfare universale e un reddito contro la precarietà e le disuguaglianze economiche e culturali; per la democrazia e contro l’autoritarismo, del governo italiano e della governance europa ed un maggiore protagonismo degli studenti.
Non resta che rallegrarsi, augurandosi che responsabilità, convergenze politico sindacali, orgoglio professionale, senso di appartenenza ad una comunità che assiste allo sfregio della propria Costituzione, insieme allo sforzo che gli studenti stanno producendo per mantenere alta la vigilanza su un tema che non riguarda solo la scuola, ma la democrazia nel e del Paese, producano la reazione che la gravità della situazione richiede.