Vorrei potervi mostrare gli occhi nocciola di Liliana, membro di un nucleo di famiglie sgomberate da un insediamento informale di Roma, quelli che l’amministrazione pubblica chiama “abusivi”. Quegli stessi insediamenti i cui sgomberi da marzo 2013, cioè da quando Papa Francesco ha annunciato il Giubileo Straordinario della Misericordia, sono passati da una media di 2,8 operazioni al mese, a una media di 9,9.
Liliana fa parte di quei 2000-2500 rom di origine rumena che dal 2010 abitano in questi campi precari (e in una città di 2.872.021 abitanti, come la capitale d’Italia, della popolazione rappresentano solo lo 0,9%. Valuterei più incisivo il razzismo contro questo popolo).
Liliana è madre e moglie.
Vorrei potervi mostrare quando ha risposto alla domanda, Cosa significa subire, dal giorno alla notte, uno sgombero forzato? I suoi occhi nocciola parevano un poco smarriti, timorosi, agitati, la mano destra gesticolava mostrando un pugno chiuso, la sinistra impugnava con forza il microfono, la voce, poco dopo, usciva flebile, ma con le parole di una donna che aveva la sua verità da comunicare: “Una mamma è tutto – è stato il suo inizio. – Una madre, una moglie è il capo della famiglia, perché fa tutto”.
Una mattina tornando verso il campo, dopo aver portato i bambini a scuola, Liliana si è trovata davanti una decina di forze dell’ordine. “Dovete prendere le vostre cose e andare via. Non potete più stare qui”, gli è stato comunicato.
Liliana era come paralizzata. “Non sapevo cosa prendere prima – ha raccontato – cosa lasciare”. Nessuno li aveva avvisati prima. “Non sapevo cosa fare: entravo in baracca e uscivo. Entravo in baracca e uscivo”.
Poche ore dopo il controllo documenti, le comunicano che avrebbero dovuto dividere la famiglia. A nessuno pare interessare del nucleo di Liliana, se non nei limiti di dividere padre da una parte, madre e figlio dall’altra. A nessuno interessa che da Centocelle finirebbero sulla Cassia e il figlio di Liliana da lì non saprebbe come andare a scuola. Nessuna famiglia sana accetta di essere divisa.
Quando il bambino rientra dalla scuola a Liliana manca il coraggio di raccontare cosa stia accadendo, ma è il figlio a parlare alla madre: “Mamma hai preso tutti i miei libri in baracca?”.
Perché vi ho raccontato questo? A conoscere sfratti e sgomberi che subiscono le famiglie, dagli appartamenti come dalle baracche, ci si accorge che le dinamiche sono le stesse e in tutti i casi, salvo rare eccezioni come è stato nel caso di Sorrentino, che ha ottenuto aiuto dal Comune, per le famiglie non vengono mai rispettate le garanzie procedurali prevista dal diritto internazionale, che prevederebbero il passaggio da casa a casa. Si tende, invece, a dividere il nucleo familiare.
La IV Giornata Nazionale Sfratti Zero, nata sin dall’origine da una idea di Massimo Pasquini, attuale Segretario Nazionale dell’Unione Inquilini, quest’anno vede come suo maggiore obiettivo ribadire l’importanza e la necessità del passaggio da casa a casa, una risposta reale per chi vive in condizioni di precarietà abitativa; un passaggio da casa a casa che, realizzato in modo strutturale, andrebbe a favorire il diritto alla casa, a sostegno delle famiglie più in difficoltà.
“Il 10 ottobre in Italia saranno messe in atto numerose e differenti iniziative – spiega Pasquini – per sostenere politiche pubbliche di contrasto agli sfratti, a favore del passaggio da casa a casa, così come per l’aumento dell’offerta di alloggi a canone sociale”.
Per il diritto alla casa si chiede di incrementare l’offerta pubblica di abitazioni sociali grazie al recupero, ai fini abitativi, dell’enorme patrimonio pubblico in disuso, abbandonato o in dismissione; attraverso queste politiche si chiede che diventi strutturale il passaggio da casa a casa sia per le famiglie degli sfrattati quanto per le 700.000 famiglie collocate nelle graduatorie comunali. Necessaria, altresì, la sospensione degli sfratti, soprattutto in vista del Giubileo, come una riduzione decisa e congrua dei valori degli affitti, e il definitivo abbandono di politiche di zerbinaggio sia nei confronti della speculazione che della rendita immobiliare. Verrà ribadito ancora il “No” secco alla vendita delle case popolari.
Ma per il passaggio da casa a mobilitarsi nel mese di ottobre anche Buenos Aires e il Camerun.
Insomma dietro le politiche abitative ci sono famiglie in difficoltà da sostenere. Mi piace allora ricordare la partecipazione di Ascanio Celestini a un mio lavoro di diversi anni fa, un’antologia, Sto qui perché una casa non ce l’ho. Ricordo Celestini che in una parte del suo contributo scrisse: “Le nostre case diventano disumane perché il loro valore è conteggiato in euro o, nel migliore dei casi, in classe energetica. Potrebbe essere tutto molto più semplice se pensassimo che la casa, in fondo, è solo un tetto, ma che il trave che lo sostiene è come un padre che ci protegge”.