Vicepresidente di Unicredit, numero uno della lobby delle concessionarie autostradali, dominus della Fondazione Crt. Ha conquistato il palcoscenico nazionale con l’appoggio di Enrico Cuccia e di Mediobanca e ha vinto il braccio di ferro con Cesare Geronzi sulle Generali. Fino a oggi era stato solo sfiorato dalle inchieste
Il conflitto d’interessi è il suo elemento naturale, il brodo di coltura in cui Fabrizio Palenzona sguazza con la disinvoltura e l’agilità di un’anguilla. La mole e la voracità, però, sono quelle di uno squalo bianco che nel corso di poco più di trent’anni da Novi Ligure ha scalato i vertici del potere fino a diventarne uno degli snodi cruciali: dalle banche alle infrastrutture, dalle concessionarie autostradali alla logistica, passando per la politica e l’autotrasporto. Dalla poltrona di vicepresidente di Unicredit – alla quale in prima battuta si era autonominato essendo l’esponente di maggior peso della Fondazione Cassa di risparmio Torino, uno dei soci fondatori del gruppo bancario – è entrato in quasi tutte le partite che contano davvero, con la doppia o tripla veste di banchiere, sommo rappresentante delle concessionarie autostradali, socio e amico dei fratelli Gavio.
Fino a qualche anno fa era uno dei massimi collezionisti di poltrone e figurava simultaneamente in moltissimi consigli d’amministrazione: da Unicredit a Mediobanca, dall’Iccri alla compagnia d’assicurazioni Aviva, dalla finanziaria dei Benetton Schemaventotto alla presidenza dell’Aiscat, passando per quella degli autotrasportatori. E’ stato uno dei maggiori fautori della cacciata di Alessandro Profumo dal vertice di Unicredit e ha vinto il braccio di ferro con Cesare Geronzi sulle Generali, giusto per citare due degli scontri di potere più feroci che si sono consumati negli ultimi anni e che lo hanno visto vincente. Oggi ha meno poltrone a causa della legge che vieta l’accumulo di incarichi, ma non certo meno potere.
Palenzona è “uomo che esercita vaste influenze”, come lo ha definito lo stesso Geronzi. Abilissimo a intessere relazioni, mai comprimario, ha avuto un ruolo di primissimo piano nella crescita del gruppo Gavio di cui è stato di fatto il côté politico e bancario. Ex sindaco di Tortona, ex presidente della provincia di Alessandria, dominus della Fondazione Crt e poi banchiere, ha conquistato in cordata con i suoi amici e soci il palcoscenico nazionale, con l’appoggio di Enrico Cuccia e di Mediobanca. Con i rivali Benetton si sono spartiti in amicizia la torta delle concessioni e delle infrastrutture, tanto che Palenzona non solo presiede l’Aiscat con l’accordo di tutti, ma è stato per quasi un decennio consigliere di amministrazione della finanziaria Schemaventotto ed è tuttora presidente di Aeroporti di Roma, società controllata dalla famiglia di Ponzano Veneto.
Finora si è dimostrato più sagace e longevo di quasi tutti i suoi rivali e nonostante i mille affari e conflitti d’interesse, dalle inchieste della magistratura è stato per ora solo sfiorato. Chiamato in causa da Gianpiero Fiorani della Popolare di Lodi per dazioni di denaro estero su estero, se l’è cavata con la prescrizione, mentre per il crac di Norman95, società di cui è stato vicepresidente, non è stato nemmeno indagato. Nei guai sono invece finiti il suo braccio destro e parente acquisito Roberto Mercuri (ha sposato una nipote di sua moglie), arrestato nell’ambito di un’inchiesta sulla centrale a turbogas di Scandale, in provincia di Crotone, e il fratello Giampiero, coinvolto nel crac Aiazzone.
L’accusa, pesantissima e tutta da dimostrare, della procura di Firenze fa pensare che si sia aperta la caccia allo squalo bianco. Ma da lì a prenderlo è tutta un’altra storia.