Per aiutare gli over 65 dal 2008 è attiva una carta acquisti da 40 euro al mese. Ma i requisiti stringenti e una burocrazia farraginosa ne limitano la diffusione. Poco importa perché il governo nel 2014 ne vara un'altra a sostegno alle fasce più bisognose: ennesimo flop
Per sostenere le famiglie italiane più povere spunta una social card con un bonus fisso tra gli 80-120 euro procapite, con corsie preferenziali per i casi di estremo bisogno. Questa una delle ipotesi allo studio del governo in vista della legge di Stabilità da 27 miliardi euro che dovrebbe destinare un’attenzione particolare alle fasce deboli della popolazione. Se il nuovo sostegno sarà davvero inserito nella manovra lo vedremo. Quel che si sa per certo è che dal 2008 è già in vigore una carta acquisti contro la povertà assoluta che dovrebbe essere destinata proprio ad aiutare i nuclei familiari più deboli grazie all’erogazione di 40 euro mensili (ma viene caricata automaticamente ogni due mesi con 80 euro) per spesa alimentare, prodotti farmaceutici e parafarmaceutici e pagamento delle bollette della luce e del gas.
È una tessera concessa agli anziani di età superiore o uguale ai 65 anni o ai bambini di età inferiore ai tre anni (in questo caso il titolare della carta è il genitore) il cui reddito Isee sia bassissimo. Per il 2015 il limite è salito da 6.781,76 a 6.795,38 euro, non tenendo però conto che, con il nuovo indicatore, migliaia di italiani si sono ritrovati più ricchi perché, all’aumentare del nuovo valore reddituale, non sono state ridefinite dagli enti locali le soglie che danno diritto alle agevolazioni. Di fatto escludendo, anche per poche decine di euro, molti beneficiari che fino allo scorso anno rientravano nella social card.
E il condizionale è ancor più d’obbligo, visto che negli ultimi 7 anni questa carta acquisti non ha lasciato traccia e gli effetti sono poco visibili. Non solo, infatti, è difficile rientrare nelle condizioni per accedervi (non essere intestatari di più di una utenza elettrica domestica e di più di due utenze del gas né proprietari di più di due autoveicoli né proprietari, con una quota superiore o uguale al 25%, di più di un immobile ad uso abitativo o titolari di un patrimonio mobiliare superiore a 15mila euro), ma anche l’iter burocratico è costellato da intrecci tortuosi. Sono coinvolti due ministeri (Lavoro ed Economia), l’Inps e Poste Italiane. Un tale rompicapo che per accedere al modulo di domanda si deve cliccare su un link presente sul sito dell’Istituto di previdenza, nella sezione ad hoc Carta acquisti ordinaria, ma da qui si viene rimandati a un altro indirizzo delle Poste che, però, non funziona (qui il link corretto).
La richiesta deve, infatti, passare obbligatoriamente per Poste che la trasmette in via telematica all’Inps per le necessarie verifiche. E meglio non va se si tenta di accedere alla domanda dal sito del ministero del Lavoro. Non tanto per un errore di collegamento, quanto per la sensazione di impotenza che arriva quando, scorrendo le varie voci (Scheda di sintesi, Esempi di situazione economica dei cittadini e Modalità di adesione degli enti locali) si legge “Aggiornamenti novembre 2009”. Questi, infatti, sembrerebbero gli ultimi dati relativi alla social card, con il solito rimpallo di responsabilità da parte degli enti coinvolti. E, quindi, poco importa se sei anni fa su 830mila sono state accolte 627mila richieste, visto che i requisiti erano meno stringenti e, soprattutto, era stata utilizzata una campagna di comunicazione con l’invio a casa di 780mila lettere ai potenziali beneficiari.
Del resto che la social card non sia uno strumento in grado di far fronte a una povertà assoluta che, secondo gli ultimi dati Istat, riguarda il 5,7% delle famiglie (per un totale di oltre 4 milioni di persone), lo ha detto chiaramente anche un folto gruppo di associazioni e sindacati. Oltre 30 sigle, tra cui Caritas e Save The Children, secondo cui questa problematica non si risolve “a colpi di spot” e “con interventi emergenziali di poche decine di euro”. Appelli inascoltati, visto che nonostante la social card avesse già dimostrato tutti i suoi limiti, nel 2014 le è stata affiancata la Sia (Sostegno per l’inclusione attiva), una nuova carta sperimentale (si va da 231 euro per due componenti del nucleo familiare a 404 euro mensili per 5 componenti), richiedibile dai residenti di 12 città italiane (Roma, Milano, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Torino, Venezia, Verona e Bari). Il target di riferimento è sempre la lotta alla povertà minorile a partire dalle famiglie in cui chi lavorava ha perso il posto di lavoro e non ha più diritto a sussidi.
Cosa è successo dopo oltre un anno e mezzo dal suo avvio? Sono più di 8mila i potenziali beneficiari che attendono notizie e i romani, ai quali è stata destinata un quinto delle risorse totali (oltre 11 milioni di euro), mancano addirittura all’appello: il Comune di Roma, infatti, non ha mai comunicato al ministero del Lavoro gli aventi diritto. Così come emerge dal report pubblicato a settembre 2014. E, comunque, da altri dati elaborati da M5S emerge che anche con questa social card, a parte la burocrazia con un doppio controllo tra comune e Inps, i requisiti sono talmente stringenti (perdita del lavoro negli ultimi 36 mesi, aver avuto un reddito inferiore ai 4mila euro nei sei mesi precedenti la richiesta e i soliti vincoli sull’abitazione e le automobili) che il numero delle famiglie che alla fine ha ottenuto il beneficio è inferiore alla metà del totale dei richiedenti.