Il 20 maggio scorso i carabinieri hanno arrestato un marocchino di 22 anni, Abdel Majid Touil a Trezzano sul Naviglio, con un’accusa pesante: essere tra i responsabili della strage al museo del Bardo in Tunisia. Quella sera mi è capitato di partecipare a una trasmissione, Zapping su Radio1, con Ruggero Po. Mentre già circolavano le prime paure e slogan sul filone “i terroristi dell’Isis sono arrivati in Italia”, mi sono permesso di far notare che anche se il ragazzo si chiama Abdel, è marocchino ed è musulmano ha diritto alla presunzione di innocenza. E al massimo si poteva chiamare “presunto” terrorista. Sono stato sommerso di insulti sui social network.
Sul Corriere della Sera Luigi Ferrarella ha rivelato che neanche la Procura crede più che Touil sia un terrorista: l’Italia non deve estradare il ragazzo, come richiesto da Tunisi, dove rischierebbe la condanna a morte. Il sostituto procuratore generale Piero de Petris della Corte d’Appello di Milano, cioè il rappresentante dell’accusa, ha detto che non c’è alcun presupposto per giustificare l’estradizione. E visto che l’unica ragione per cui Touil resta in carcere a Opera è la richiesta di estradizione, equivale a dire che deve essere liberato. Cosa che succederà a giorni, pare.
Secondo l’assurda ricostruzione alla base dell’arresto, Touil sarebbe arrivato in Italia su un barcone il 15 febbraio, poi sarebbe tornato in Tunisia per sterminare i turisti, di cui quattro italiani, il 19 marzo e poi, di nuovo rischiando la vita su un barcone, in Italia. Lasciando nel frattempo le sue tracce in giro ed essendo così stupido da rifugiarsi, dopo la strage al museo del Bardo, nell’unico posto dove tutti sapevano chi fosse, cioè a Trezzano, da sua mamma. Touil è rimasto in carcere anche se risultava dai quaderni del ragazzo che il giorno del massacro era presente a un corso di italiano.
Il legame tra Touil e l’attentato, secondo quanto scrive il Corriere, sarebbe solo il cellulare del ragazzo. Ma dai tabulati risulta che in una prima fase ci sono contatti solo coi famigliari, poi più niente, poi contatti coi terroristi. Ma la pausa corrisponde al passaggio di Touil sul barcone e gli scafisti libici, secondo quanto ha raccontato, gli sequestrarono telefono e passaporto. Le accuse da Tunisi derivano dal fatto che in una fotocopia di una foto di Touil due attentatori catturati avrebbero riconosciuto il corriere delle armi per la strage.
Per quanto indegno di uno Stato di diritto, il trattamento subìto da Touil si potrebbe anche derubricare a un’incredibile sequenza di coincidenze sfortunate che hanno portato in carcere un ragazzo innocente. Per cinque mesi. Solo coincidenze sfortunate, se non fosse per l’enorme pressione politica attorno alla vicenda. “Grazie a Forze dell’Ordine che hanno arrestato in Lombardia uno dei ricercati strage di Tunisi. Orgoglioso della vostra professionalità!”, questo il Tweet del premier Matteo Renzi all’epoca dell’arresto. Al ministro dell’Interno Angelino Alfano non pareva vero di aver finalmente un successo da vantare nella guerra al terrore: “Siamo l’unico Paese al mondo dove c’è un’opposizione che protesta perché è stato arrestato un sospettato di terrorismo, invece di dire che il sistema ha funzionato”.
Ma c’era soprattutto la Lega. In quella fase Matteo Salvini e i suoi sostenevano la tesi – completamente priva di riscontri – secondo cui i barconi carichi di disperati ospitavano implacabili terroristi pronti a colpire (e qualcuno davvero ci credeva). I capi gruppo leghisti Massimiliano Fedriga – Camera – e Gian Marco Centinaio – Senato – presentarono addirittura un esposto ai carabinieri accusando il governo di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, “omicidio colposo” e “assistenza agli associati”. Tutto questo per l’arresto di Touil. Nell’esposto si parlava dei barconi usati per “infiltrare pericolosi adepti dell’organizzazione in Europa (…) come sembra dimostrare l’arresto di Touil Abdel Majid”.
L’eroico Fedriga, tra un talk show e l’altro, arrivava a minacciare: “Se Renzi non verrà a riferire – oggi stesso – in aula sulle infiltrazioni terroristiche sui barconi, dopo l’arresto del terrorista del Bardo, a Milano, la Lega utilizzerà tutti i mezzi a sua disposizione per obbligare il governo a relazionare in aula e a prendere provvedimenti seri e di emergenza contro il rischio estremista importato in questo Paese”. Era il 20 maggio.
Nessuno potrà davvero risarcire Touil per i cinque mesi in carcere. Già la vita di un marocchino di 22 anni arrivato in Italia su un barcone non deve essere facile. Passare settimane e settimane in galera senza ragione lascerà cicatrici su di lui che si cumuleranno alle altre.
Però almeno qualcuno potrebbe chiedere scusa. Salvini e Fedriga, per esempio. Potrebbero dire: “Cari italiani, cari amici leghisti, l’unica prova della nostra teoria secondo cui i barconi sono pieni di jihadisti è crollata. Miseramente. Ci dispiace di aver raccontato balle facendo perdere ogni credibilità alle nostre proposte e proteste sull’immigrazione. Ci dispiace di aver usato le vostre legittime paure per guadagnare qualche punto nei sondaggi e ci dispiace di aver contribuito a creare un clima nel quale un Paese civile come l’Italia può tenere in carcere un ragazzo per cinque mesi senza che nessuno protesti, solo perché è marocchino”. Ecco. Potrebbero dire queste cose. Sarebbe già qualcosa.
Ovviamente non diranno nulla. E non oso confidare nella memoria dei loro elettori reali o potenziali. Non auspico nessuna sanzione morale. Ma scrivo questo post nella speranza che quando qualcuno, magari spaventato, magari infastidito dai migranti che rovinano la quiete delle sue valli prealpine, cercherà su Google le parole “barconi” e “terroristi” capiti su questo post.
E si chieda, anche solo per un secondo, come deve essersi sentito Abdel Majid Touil in questi mesi. E a quante volte Fedriga, Salvini, Centinaio (ma anche Alfano e Renzi) si saranno soffermati a pensare alle conseguenze dei loro annunci trionfalistici e della loro politica della paura.
Se non lo farà, se nemmeno questa storia incredibile susciterà un po’ di empatia, allora sarà confermato il sospetto che ogni popolo ha la classe dirigente che si merita.