Questo post nasce da un confronto avuto in questi giorni concitati con la mia amica Caterina Coppola, giornalista in prima linea per i diritti delle persone Lgbt. Ecco il frutto delle nostre riflessioni congiunte.
Il nuovo testo sulle unioni civili targato Pd è finalmente arrivato: un ddl più digeribile per Ncd, che nonostante tutto protesta, e per i cattolici del Pd. Cosa cambia? Le modifiche cruciali puntano a distinguere ulteriormente le coppie unite in unioni civili da quelle sposate, eliminando i riferimenti al matrimonio. Per farlo sono stati cancellati “con un tratto di penna”, tra gli altri, gli articoli 147 e 148 del codice civile, che definiscono gli obblighi dei genitori rispetto ai figli. Sul pericolo di una mossa del genere, aveva già messo in guardia Matteo Winkler, giurista, avvocato e blogger del Fatto: «Agire sull’articolo 147 vuol dire svuotare di senso la step-child adoption» ha spiegato «un modo per minimizzare la figura del genitore adottivo e renderlo diverso dalla figura biologica. Nonostante siano uniti in unione civile non potranno esercitare gli stessi diritti da genitori». Un genitore sarebbe “più genitore” dell’altro: uno schiaffo alla richiesta di uguaglianza delle famiglie arcobaleno. Discriminate di fatto, poi, le persone trans: se uno dei partner cambia sesso, l’unione civile viene annullata. In un matrimonio invece, se uno dei coniugi ricorre alla riattribuzione del sesso, esso viene ridotto a unione civile.
Sugli aspetti giuridici più tecnici si esprimeranno le associazioni di settore, a cominciare da Rete Lenford, che già in passato ha avuto non poche perplessità sulla dicitura “formazioni sociali specifiche” che smarca l’unione civile dal concetto di matrimonio, sancendo indirettamente, ma per legge, che due gay non sono “famiglia”. Aspetto che dice molto sulle reali intenzioni di chi vuole approvare un provvedimento siffatto. Vediamo qui il contesto più generale nel quale ci stiamo muovendo.
La Corte Costituzionale, le sentenze dei tribunali sui matrimoni contratti all’estero e, infine, la Cedu si sono pronunciate: le coppie gay e lesbiche devono avere gli stessi diritti di quelle sposate. Il quadro internazionale è quello di allargare il matrimonio alle persone Lgbt, rendendolo “egualitario”. La nostra classe politica segue una direzione parallela, ma opposta: legifera secondo i vari pronunciamenti delle corti, ma sancendo disparità sia dal punto di vista giuridico (creando istituti specifici a diritti ridotti) sia sul piano simbolico (delineando una distanza marcata dalle famiglie eterosessuali).
Sembra insomma che il Pd stia facendo questa legge proprio per evitare che si arrivi al matrimonio. Quanto accaduto in Irlanda e negli Usa, infatti, ha dimostrato che il vuoto giuridico o la persistenza delle unioni civili determinavano situazioni di disparità. Il partito del premier, non potendo evitare un progresso sociale che ormai va su scala planetaria, cerca di legiferare in merito pur mantenendo uno stato di minorità giuridica per le persone Lgbt.
Certo, i fautori del “piano inclinato” reputano fondamentale avere delle norme, per poi arrivare, attraverso interventi successivi, ai pieni diritti. Ma la storia del nostro paese ci suggerisce il contrario, a ben vedere, se guardiamo al riconoscimento dei figli naturali e all’approvazione del divorzio breve. C’è il rischio, quindi, di tenerci una legge-apartheid per almeno altri vent’anni. Tra i fan Lgbt del premier, intanto, circola il falso mito della necessità dei passaggi intermedi. Diversi casi (Spagna, Sud Africa, Usa, ecc) dimostrano il contrario. In altri c’è stata sì una gradualità, ma in quei paesi in cui vent’anni addietro ci si poneva per la prima volta il problema di legiferare in merito. Proprio in quei paesi si arrivò alla formula dell’istituto separato, oggi considerato obsoleto. L’Italia che riparte sta dunque scegliendo di adottare uno strumento vecchio e superato. Infine, le proteste del fronte omofobo non sono garanzia di bontà della legge: ricordiamoci che cattolici integralisti, ultraconservatori, neofascisti, sentinelle, ecc, mirano a non ottenere nessun tipo di riconoscimento.
In questo quadro a tinte fosche bisognerà poi capire se il ddl verrà approvato così com’è. L’iter parlamentare deve ancora cominciare e il rischio che venga peggiorato è sempre dietro l’angolo. La percezione è che siamo davanti all’ennesimo compromesso al ribasso sulla pelle delle persone Lgbt e delle loro famiglie. Verdini, intanto, ha già dato il suo appoggio al nuovo testo, confermando che si prepara ad essere un alleato ben più affidabile che per le sole riforme costituzionali e rendendo quasi superflui i voti di Ncd. Con buona pace della maggioranza alternativa con il M5S e Sel. Il problema erano e sono, dunque, i cattolici interni al Pd, le cui posizioni non erano poi molto distanti da quelle di Alfano, ed è a loro che il nuovo testo va incontro, non certo alle istanze della gay community italiana: se saranno confermate le perplessità espresse, essa subirebbe l’ennesimo smacco e le verrebbe chiesto di accettare una legge ancora più lontana dalla parità di quanto non lo fosse già un testo che non è il matrimonio egualitario. Non rimane che vigilare e fare le dovute pressioni perché non si producano ulteriori discriminazioni.