Ha dunque chiuso i battenti, almeno per ora, “Capitani coraggiosi”, la serie di concerti di Claudio Baglioni e Gianni Morandi. Io ne ho parlato molto in questi mesi e sostanzialmente, anche se non ci voleva molto, credo di aver indovinato tutte le previsioni.
Dopo aver assistito alla prima assoluta al Centrale del Foro Italico, scrissi che sarebbe stato un successo assicurato, e così hanno dimostrato le due serate in tv, con oltre il 20% di share ciascuna. Insomma: c’erano sul palco due pilastri della canzone italiana che cantavano i loro brani più famosi. Ci voleva poco a presagirne consensi e riuscita.
In precedenza però, dissi anche qualcosa di meno scontato: «Credo che quello a cui convenga meno fare questa cosa è Baglioni, che potrebbe letteralmente uscire snaturato e – quindi – massacrato dall’intero progetto. Non penso di esagerare.»
Qui dobbiamo intenderci sui termini: la cifra artistica del miglior Claudio Baglioni sta nella scrittura di canzoni in cui la musica non è mai scontata, le soluzioni armoniche e melodiche rifiutano sempre la strada semplice e banale, e le parole «contano e si stanno a sentire», per brani dallo stile strettamente legato alla poetica e alla storia artistica, esclusiva e a volte anche “privata” del loro autore. Succede questo nella migliore canzone d’autore, e massicciamente nel Baglioni per esempio di Strada facendo, La vita è adesso, Oltre, Io sono qui, e non solo ovviamente. La riconoscibilità della canzone non è tanto importante, quanto quello che la canzone dice e come lo dice.
Ecco, questa cifra artistica pensavo potesse essere snaturata dai concerti con Morandi, perché lì le canzoni sarebbero servite esclusivamente per coinvolgere il pubblico, per evocare qualcosa di conosciuto e cantare in coro: compito nobilissimo dell’arte-canzone, sia chiaro, ma che riguarda molto più Morandi che Baglioni. Se allora la natura del miglior Baglioni è la prima, avventurarsi in un progetto che esalta esclusivamente questa seconda è un’operazione che lo snatura. Questo snaturamento diventa addirittura massacrante se si pensa che sia la strada da seguire per via del successo di pubblico.
E qui entriamo in un altro ambito: quello delle scelte di gestione del potenziale artistico di un cantautore. “Capitani coraggiosi” non è che l’ultima di una serie di scelte sciagurate. Fino alla metà degli anni Novanta, Claudio Baglioni non sbagliava un colpo. Mi riferisco alla scelta delle apparizioni televisive, dei luoghi e dei contesti in cui cantare, della necessità o meno di “darsi” su un determinato palco. Credo che questa cattiva gestione dell’“artista Baglioni” sia emblematicamente espressa dallo scollamento che c’è tra V.O.T. del 1995 (brano che parla della natura fagocitante e vuota della televisione) e “Anima mia” del 1997, la prima trasmissione con Fazio. Quello è il punto simbolico di non ritorno. Lì c’è tutto il distacco, il divario tra l’artista e la bontà qualitativa e opportuna del microfono che gli si para davanti.
Nel 1985 per esempio andò a Sanremo “da Baglioni”, a ritirare il premio per Questo piccolo grande amore come miglior canzone del secolo: una manifestazione in cui lui non era mai stato in gara gli diceva che era il più bravo di tutti. Andò lì, cantò il brano, ringraziò, salutò tutti e “buon proseguimento”.
Quando ci è tornato due anni fa ha fatto un’ospitata come uno dei tanti, ha mostrato la mercanzia come un imbonitore: è andato a Sanremo da cantante perfettamente calato in quel luogo, in un’operazione sconclusionata, non coerente con la sua cifra artistica e quindi non degna della sua fama.
Ora è stata la volta di “Capitani coraggiosi”. Io credo che il momento artisticamente migliore in assoluto dell’intero progetto sia avvenuto durante la prima serata della diretta tv, sul brano Dov’è dov’è (canzone del 1990) cantato con Fedez e J-Ax. Non certo grazie alle dubbie qualità canore dei due rapper ospiti, quanto perché si è dovuta ripescare forzatamente, per esigenze puramente metriche, una delle perle di “Oltre”: un brano fra i più sconosciuti di Baglioni, con parole che quindi all’orecchio dei più risultavano nuove, e che per questo, come appunto succede nella canzone d’autore, si devono stare a sentire. È stato però un momento completamente avulso dall’esigenza di riconoscibilità di questa serie di concerti, oltre che – più in generale – dalla scaletta e dalla scelta delle altre canzoni dei due, che in uno spettacolo di quel tipo è meglio che significhino il meno possibile. Dov’è dov’è si è piantata lì «come un’anomalia», per dirla con Fabrizio De André, come «una goccia di splendore» in un mare sostanzialmente omologato.
Nella seconda serata della diretta tv, invece, c’è stato il punto più basso: durante l’esibizione del brano Notte di note, note di notte piano e voce, con testo tagliato e completamente stravolto. Mai, in un tour degli anni Ottanta o Novanta, Baglioni avrebbe potuto anche solo pensare di togliere una strofa (medley a parte, ovviamente): sembrerà assurdo ciò che sto per dire, ma in “Capitani coraggiosi” le canzoni non erano assolutamente al centro dello spettacolo, perché non lo erano il loro significato, ma solo la loro riconoscibilità. Per Morandi funziona alla grande; per Baglioni invece se togli il significato togli l’anima dei brani.
Baglioni stesso si riferisce a questi discorsi usando il nome di “puristi” per identificare chi li sostiene. Ma non ci siamo: è semplicemente una maniera oggettiva, e sostanzialmente analitica per descrivere ciò che è la sua migliore essenza artistica.