maternita neonati 675

Caro Presidente della Repubblica,

ho letto con grande interesse la sua lettera sulla maternità, pubblicata dal Tempo delle donne, e me ne rallegro. Quelle righe contengono alcuni passaggi chiave sul suo riconoscimento e, contestualmente, sul ruolo della donna a prescindere da essa. Così facendo pone al centro due questioni imprescindibili: la prima è il valore collettivo che viene assegnato alla maternità (“Farsi carico della maternità è un dovere di tutti, non soltanto delle madri, al quale nessuno di noi può sottrarsi”) percepita come risorsa collettiva e non come peso sociale; la seconda è la conciliazione dei tempi del lavoro con quelli della vita familiare e le conseguenze culturali ed economiche prodotte dallo sbilanciamento dei ruoli (“non sempre le reti sociali sono state in grado di supportare adeguatamente la maternità e ciò ha finito per penalizzare la comunità e la sua coesione”).

In buona sostanza la lettera mette in relazione la libertà femminile con le politiche di conciliazione, raccontandoci come una donna fuori dal mercato del lavoro sia una sconfitta per tutti (“La maternità non è in opposizione alla produttività. È vero il contrario: dove le donne lavorano di più e i servizi sono migliori c’è maggiore apertura alla maternità”). Si tratta di un passaggio essenziale, un accostamento di parole (libertà uguale conciliazione lavoro – famiglia) che restituisce significato a entrambe, e il fatto stesso che l’accento venga posto dalla più alta carica dello Stato, gli conferisce non solo l’urgenza che merita ma anche quel valore di laicità che è essenziale quando si tratta di politiche per le famiglie. La Sua lettera, al contempo, contribuisce a sdoganare il tema della paternità, tirando in ballo il grande assente giustificato, ovvero il padre, la cui marginalità (soprattutto nei primi mesi di vita del neonato) non solo è data per scontata ma è quasi doverosa visto il ruolo sociale attribuito al maschio di casa come capo famiglia lavoratore. Il grande errore nasce proprio da lì, nel dislivello dei ruoli genitoriali, che è di freno alla donna e crea quell’arretratezza culturale e quello squilibrio sociale all’interno del quale sguazzano stereotipi, dimissioni in bianco, disoccupazione femminile, decrescita, natalità zero  .

La sua lettera aiuta, perché contribuisce a sensibilizzare l’opinione pubblica (e mi auguro il Governo) al grande tema delle politiche per le famiglie, accostandolo a quello del lavoro e della parità di genere.

Tuttavia non basta a restituire sostanza alla parola maternità, svuotata nel corso degli anni di identità e diritti. Non sarà sufficiente almeno fino a quando dalle parole non passeremo ai fatti.

E i fatti oggi raccontano di maternità vissute in bilico , di politiche familiari ridotte a bonus bebè , di desideri di maternità strozzati dagli stereotipi , di pregiudizi con cui una donna lavoratrice, che decide di diventare madre, ancora è costretta a scontrarsi. Raccontano di gravidanze sussurrate tra i corridoi di un ufficio, comunicate al proprio datore di lavoro come se fosse un fattaccio, di congedi parentali percepiti come il privilegio della furbetta di turno. E quel che peggio, raccontano di donne disposte a rinunciare a tutto ciò , al proprio desiderio di maternità ma anche al proprio diritto di congedo per maternità, delegittimando anni di battaglie sociali, per il timore che il prezzo da pagare sia troppo alto. E allora, se dalle parole non passeremo ai fatti, quelle conquiste femminili di cui parla Lei all’inizio della lettera, saranno perse per sempre.

Passare ai fatti significa in primo luogo mettere al centro dell’agenda le politiche di incentivo alle famiglie e all’occupazione femminile. Le azioni che un Governo è in grado di produrre, sono il motore per quel cambiamento culturale che è alla base di ogni progresso.

Una normativa di congedo parentale maschile che non si riduca a pochi giorni dopo il parto, ad esempio, non solo contribuisce al bilanciamento dei carichi familiari, ma ridisegna il volto della paternità complementare a quello della maternità , conferendogli tutto il valore che merita. Una genitorialità a senso unico, al contrario, penalizza entrambi i genitori (oltre che i figli stessi), privando il padre dei primi importanti momenti di vita dei figli e la madre della parità di genere.

Per tutti queste ragioni, caro Presidente, le lancio la sfida di indire la Giornata nazionale della conciliazione lavoro-famiglia, un appuntamento annuale che rappresenti il banco di prova del governo sull’attuazione delle politiche rivolte alle famiglie e all’occupazione femminile. Una data simbolica per una giornata che di simbolico abbia ben poco, ma che laicamente rappresenti una ricorrenza per rivendicare dal basso un’agenda di priorità politiche e una verifica annuale sugli incentivi a favore di queste politiche. Una giornata al di fuori da ogni retorica, dove non solo il governo presenti i risultati, ma un movimento di uomini e donne sia lì a reclamarli.

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