Uscirà nelle sale il 14 ottobre il film prodotto da Cattleya e Rai Cinema che tratteggia le tinte fosche di una capitale "buia", corrotta, in attesa della fine, in cui nei palazzi che contano si agitano piccole donne e uomini che aspirano ad annientarsi l’un l’altro in nome di qualcosa che contraddice il senso stesso del loro ruolo. Tra i protagonisti Pierfrancesco Favino, Elio Germano e Claudio Amendola. Il regista: "Sarà attuale anche tra 10 anni"
Diluvia senza tregua sulla Roma di Suburra. Nel suo ventre, intanto, si agitano pontefici dimissionari e puttane impaurite, deputati corrotti e gangster impuniti, tossiche romantiche e Pr faccendieri. Personaggi assorbiti dal marcio di una metropoli presto necropoli ove incombe l’Apocalisse, prevista per il 12 novembre 2011.
Sì, proprio quella data che storicamente vide Berlusconi lasciare il Palazzo ma che qui allude al simbolo, e non alla cronaca. Benché non casuale, la data invocata dalla finzione fa capo all’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo & Carlo Bonini, poi diventato film per mano di Stefano Sollima. Prodotto da Cattleya con Rai Cinema e scritto con gli autori del novel, insieme agli affiatati Rulli & Petraglia, Suburra è il bellissimo gangster/western movie metropolitano che ci si attendeva dalla maestria “sul genere” del regista già di ACAB e di Gomorra – La serie.
L’uscita del film, tra i più attesi della stagione, avverrà il 14 ottobre prossimo in ben 500 sale per 01 Distribution, ma non solo: contemporaneamente i 55 milioni di abbonati a Netflix delle due Americhe potranno vederselo, mentre lo stesso network lo programmerà nel Belpaese a maggio. Insomma, “la massima esposizione ad oggi per un film italiano”, annuncia trionfante Riccardo Tozzi, titolare Cattleya ma anche presidente Anica. E in fase ideativa è già l’omonima serie tv prodotta sempre da Netflix.
Il racconto, sviluppato in 130’ che scorrono senza pesare, distillati nei 7 giorni precedenti l’Apocalisse, prende forma dalla sagoma del Potere per eccellenza: il pontefice, osservato di spalle in preghiera. Sta per prendere una decisione assoluta, ma nessuno può saperlo né immaginarlo. Come nessuno può intuire gli intrighi che si muovono nel Palazzo dell’altro Potere, quello temporale, ovvero il Parlamento, imposto da un’inquadratura solenne quanto la Costituzione. Vi si agitano piccole donne e uomini che aspirano ad annientarsi l’un l’altro in nome di qualcosa che contraddice il senso stesso del loro ruolo; così si comporta anche l’onorevole Malgradi, deputato mediocre, meschino e corrotto fino al midollo (“io sono un onorevole del Parlamento italiano e me ne fotto della magistratura”) da una Mafia (Capitale, anche se non è nominata) fatta di famiglie criminali che a sua volta si scannano.
L’intreccio semovente di quest’intestino ingolfato e avvelenato è la Suburra, un sottosuolo con caratteristiche intimamente romane ma che può assurgere a spiegare i lati oscuri dell’umanità. L’epico affresco sul Potere e i suoi derivati di Sollima è effettivamente da lui definito alla presentazione alla stampa del film quale “un racconto simbolico e allegorico su una città e sui Poteri che questa muove e dai quali è mossa. Se anche lo trovate d’attualità schiacciante, visti i fatti quotidiani al Campidoglio, potrebbe applicarsi a un periodo iniziato 20 anni fa e ancora in corso, e lo trovereste forse attuale anche tra 10 anni”. Dunque quel fatidico 12 novembre 2011 sta lì a “concretizzare la narrazione con la realtà, ma il film come il libro vivono di invenzioni proprie, naturalmente ispirate a comportamenti reali”, spiega lo sceneggiatore Stefano Rulli.
Il suo “tocco”con quello di Petraglia è inconfondibile: dalla scelta dell’epica storico/criminale alla suddivisione strutturale in capitoli, fino a una – diciamolo – eccessiva scrittura che non poco soffoca il volo della splendida regia di Sollima. Il cast, minuziosamente selezionato (“ho voluto i migliori”) dal regista si presenta di bravura compatta: dal “deputato” Pierfrancesco Favino al Pr Elio Germano, dal “Samurai” (ispirato a Massimo Carminati) Claudio Amendola al “numero 8” Alessandro Borghi, dal sorprendente “Manfré” (ispirato allo “zingaro” Vittorio Casamonica) Adamo Dionisi alle “ragazze” Greta Scarano e Giulia Elettra Gorietti.
E sono soprattutto i tre romani (Favino, Amendola e Germano) a commentare criticamente la situazione politica capitolina di odierna problematicità: se per Amendola “non sappiamo i tempi politici per avere un nuovo sindaco ma penso sarà del Movimento 5 Stelle giacché ci vorrà del tempo per i veri partiti per ricompattarsi e rendersi credibili”, per Favino si tratta di una “situazione di cui siamo tutti corresponsabili da anni. Forse dovremmo ciascuno rispondere facendo eticamente il proprio lavoro” e per Germano l’auspicio è che “arrivi da qualunque parte qualcuno di onesto che risollevi questa disperata Capitale”.