Se una donna ritiene il mito del matrimonio romantico una pagliacciata, chi sono io per giudicare? La nota locuzione diventata sintesi del Bergoglio-pensiero, evidentemente non ha fatto scuola.
Martedì 29 settembre a Budrio, la coppia di fatto costituita dalla scrittrice Simona Vinci e il suo compagno Pietro Bassi, dinanzi al sindaco Giulio Pierini si dice “sì” con rito civile. Simona e Pietro hanno già un figlio di tre anni. Prima di contrarre matrimonio, di fronte all’ufficiale di Stato civile Simona esprime il suo rammarico per essere costretta a un atto che non era nei suoi piani: Lo Stato ci costringe a farlo per tutelare la nostra salute e nostro figlio. Subito dopo, sul suo profilo di Facebook scrive:
Per quanto mi riguarda non ho mai avuto il mito del matrimonio romantico e trovo una pagliacciata tutto ciò che ruota attorno a un contratto. E prosegue: penso che una volta per sempre bisognerebbe svincolare questo contratto dall’aspetto ‘sessuale’. Una famiglia non deve per forza essere composta da madre, padre e figli, ma può benissimo essere un patto tra persone (amici, amiche) che condividono oneri, diritti e doveri per scelta e per affetto. La spesa, alla faccia del business dei matrimoni sfarzosi, è stata di 16 euro in marca da bollo“.
Per essere un matrimonio senza invitati, quello di Simona e Pietro si è presto rivelato più affollato di una metropolitana giapponese, dacché sul settimanale diocesano “Bologna Sette” interviene la curia bolognese tramite il giudice del tribunale ecclesiastico Paola Cipolla, la quale dichiara che non si può decidere di sposarsi solo per ottenere diritti e benefici, perché così il matrimonio perde senso, diventa una farsa, una simulazione, e che in ogni caso per l’ordinamento italiano quel matrimonio è nullo, così come è nullo il matrimonio celebrato al solo fine di acquistare la cittadinanza.
Mi sono sposata con un matrimonio civile e non religioso, dunque semmai è lo Stato Italiano che dovrebbe bacchettarmi – replica con un post su Facebook Simona – Se la mia provocazione può servire a sbloccare la discussione del ddl Cirinnà sulle Unioni Civili (e l’approvazione dello stesso) che il Premier Matteo Renzi ha promesso dall’inizio della sua legislatura ne sarò lieta. Lo chiede anche l’Unione Europea.
Consultando le cause della dichiarazione di nullità matrimoniale contemplate nel codice civile, non vi si trova alcuna fattispecie omologabile al caso Vinci. E la giudice Cipolla lo sa bene. Sospettiamo dunque un espediente pretestuoso, una provocazione lanciata proprio per aprire un dibattito alla vigilia del Sinodo sulla famiglia sull’istituzione che i cattolici dicono sia sotto attacco. Vero è piuttosto, che a giugno di quest’anno il Parlamento europeo ha bacchettato per la seconda volta l’Italia per non avere ancora una legge sulle unioni civili. Al momento, 19 Paesi membri della Ue hanno una disciplina chiara sulle unioni omosessuali, mentre l’Italia è fra i 9 che ancora non hanno legiferato in merito. E non è tutto!
La Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha già condannato lo Stato italiano (sentenza 20 luglio 2001, Pellegrini vs Italia) giacché riconosce validità giuridica alle sentenze della Sacra Rota. La ricorrente si era rivolta alla Corte europea lamentando la violazione dell’articolo 6 della Convenzione per il fatto che i giudici italiani avessero attribuito efficacia civile alla sentenza canonica di nullità matrimoniale, sebbene scaturita a suo parere da un procedimento nel corso del quale sarebbe stato violato il suo diritto di difesa. La Corte ha pertanto condannato la Sacra Rota perché non rispetta i principi dell’equo processo. E poiché il Vaticano non fa parte del Consiglio d’Europa, (quindi non si possono condannare né il Vaticano né la Sacra Rota in quanto tali) la Corte europea ha condannato lo Stato italiano perché riconosce validità giuridica alle sentenze della Sacra Rota.
Nel 2007, l’agente del Sismi Lorenzo D’Auria viene ferito in Afghanistan. Trasportato a Roma in coma irreversibile viene unito in matrimonio con la compagna in articulo mortis. È la forma prevista dal diritto canonico per chi è in immediato pericolo di vita e che, per le norme concordatarie, prevarica il diritto civile. Il militare era praticamente già deceduto e pare che non avesse nemmeno potuto pronunciare il “sì”. D’Auria e la compagna non avevano voluto sposarsi, ma sono stati costretti a farlo affinché lei ottenesse – lo ammise il padre – i diritti spettanti a una vedova. Vivevano insieme da anni e avevano tre figli. Chi era più sposato di loro? C’era bisogno di quella macabra sceneggiata? Oggi in tanti vorremmo chiedere alla giudice Paola Cipolla: cosa è stato allora quel matrimonio in articulo mortis, se è vero, come dice, che non ci si può sposare solo per ottenere diritti e benefici, perché il matrimonio in quel modo perde senso, diventa una farsa, una simulazione?