Tra Alezio e Gallipoli, epicentro del contagio, un particolare metodo curativo ha avuto esiti inaspettati e con costi inferiori rispetto ai rimborsi previsti dal piano Silletti-bis per gli abbattimenti. "Alberi malati salvati con 94 euro a pianta" ha detto a ilfattoquotidiano.it l'imprenditore Giuseppe Coppola, che se la prende con le lungaggini burocratiche. Gli esperti frenano gli entusiasmi. Boscia (Cnr): "Bisogna aspettare". Martelli (università di Bari): "Risultati solo a lungo termine"
“La burocrazia ha ucciso più ulivi della Xylella, mentre sul mio terreno 450 alberi, molti dei quali secolari, tornano a germogliare dopo un anno di cure tradizionali e biologiche”. A parlare è Giuseppe Coppola, proprietario di un oliveto in contrada Santo Stefano, tra Alezio e Gallipoli. L’imprenditore ha invitato esperti, scienziati e agricoltori a recarsi sul suo campo e ha illustrato il frutto del lavoro di un anno. In questa zona è iniziato tutto. L’incubo. Ormai quasi 5 anni fa. E da qui Coppola lancia la sua provocazione: “Non credo di aver risolto il problema della Xylella, ma sono convinto che se altri avessero fatto ciò che ho fatto io, forse il batterio non avrebbe avuto la strada spianata”. Gli scienziati lo ascoltano, guardano i risultati di tanti sforzi, ma restano scettici: “Meglio tali pratiche che l’incuria, ma a questo punto bisogna chiedersi se vale la pena investire risorse”.
L’operazione anti-Xylella passo dopo passo
Nell’oliveto di contrada Santo Stefano è arrivato anche Joseph Marie Bové, membro dell’Accademia d’Agricoltura di Francia. È stato lui a scoprire la sequenza genetica di Xylella fastidiosa sugli agrumi. Ma c’erano anche Donato Boscia, responsabile dell’Istituto di Virologia del Cnr di Bari e Giovanni Martelli, professore emerito di patologia vegetale all’Università di Bari. E poi Confagricoltura e Coldiretti. A illustrare passo dopo passo il lavoro che lui stesso definisce di ‘assistenza infermieristica’ lo stesso Coppola: “Sono state eseguite 5 arature superficiali del terreno. Da sempre la nostra azienda lavora con metodi tradizionali, ma da circa un anno abbiamo incrementato le cure”. Poi 5 trattamenti (prima della potatura e dopo l’emissione della vegetazione) per nutrire la pianta e proteggerla da attacchi di patogeni e per controllare il vettore ‘sputacchina’. “Una potatura radicale – racconta l’imprenditore – è stata eseguita a ottobre scorso nel tentativo di eradicare il patogeno che si era diffuso nell’intero oliveto e sulle branche principali delle piante”. Tutti i tagli sono stati disinfettati con rame e mastice e il materiale di risulta bruciato sul posto. D’estate sono stati eliminati i polloni dai ceppi. Ai trattamenti insetticidi si sono accompagnati quelli tradizionali con il rame per il controllo delle patologie classiche dell’olivo. A settembre la potatura verde di impostazione. “L’olivo è una pianta che si rigenera velocemente e così ha iniziato a germogliare” spiega l’imprenditore. La parte tenera è stata trattata con solfato di rame per renderla forte, ma l’aspetto forse più innovativo di questo ‘esperimento’ esula dall’aspetto terapeutico: “Abbiamo usato lo zolfo in polvere sulla pianta pensando di creare fisicamente un ambiente ostile alla sputacchina, che le impedisse di avvicinarsi alle piante”.
I costi del metodo e i ritardi
Giuseppe Coppola conduce, insieme al fratello Lucio, l’attività di famiglia. Che si occupa di ospitalità e agricoltura, nello specifico del settore vitivinicolo. “Per un anno intero abbiamo attinto le risorse necessarie dal comparto turistico della nostra attività – spiega l’imprenditore – destinandole alla lotta alla Xylella. Quanto ci è costato? Tanto. Troppo”. Nel complesso quasi 95 euro a pianta, oltre i 40mila euro. Comunque meno degli indennizzi per l’abbattimento (da 98 euro a pianta) previsti dal piano Silletti-bis. E senza calcolare la perdita in termini di produzione. “Noi abbiamo potuto farlo, ma non è alla portata di tutti. Le istituzioni comprendano la necessità di sostenere il mondo agricolo”. Ed è proprio questo il punto. Al momento non c’è alcun contributo che non sia legato all’abbattimento. Né per quanto riguarda ipotetiche cure, né tantomeno per l’avvio di colture alternative laddove non c’è più soluzione. “Abbiamo lavorato consapevoli che se dopo avere impiantato un vigneto ci vogliono tra i 4 e i 5 anni per tornare a produrre, passano tre generazioni prima di tornare a vedere un ulivo come quelli che ora sarebbero da estirpare. Per questo insistiamo, anche se credo che in alcuni casi sia meglio un intervento radicale. Eliminarne una per salvarne cento”. Oggi le piante dell’azienda sono sane, ma al di fuori dei confini dei Coppola c’è il disastro. “Credo che se le istituzioni avessero sostenuto gli agricoltori – dice Coppola – e se qualcuno avesse fatto il mio stesso esperimento, forse la Xylella non avrebbe avuto vita facile”. Ma il problema – secondo Coppola – nasce da lontano. Da quando l’integrazione sull’olio non è più legata alla produzione effettiva, ma ai terreni.
Lo scetticismo degli scienziati: “Risultati solo a lungo termine”
Sforzo apprezzato, ma cautela sulle risorse da destinare. È, in sintesi, la posizione del mondo scientifico riguardo all’esperimento dell’imprenditore gallipolino. “Questa purtroppo è considerata un’area in cui il batterio non è più eradicabile” spiega a ilfattoquotidiano.it Donato Boscia, responsabile dell’Istituto di Virologia del Cnr di Bari. Sulla stessa lunghezza d’onda il professore Giovanni Martelli, patologo vegetale e massimo esperto del batterio in questione: “Mi auguro per Coppola e per tutti che quello che ha fatto possa dare risultati interessanti, ma bisogna aspettare”. Entrambi gli scienziati sono d’accordo con Coppola su due aspetti: da un lato i ritardi delle istituzioni e la volontà di stimolare un dibattito in tal senso, dall’altro la lotta alla trascuratezza di certi terreni. “L’incuria o potature ogni 6-7 anni avranno certo contribuito a ritardare una presa di coscienza del problema, anche se non credo ne siano state la causa”. Sui risultati, invece, ci vanno con i piedi di piombo. “Non mi sconvolge che una pianta tagliata e trattata con tanta cura riesca a germogliare – commenta Boscia – Potrebbe essere un primo passo, ma è troppo presto per dirlo. Non dimentichiamo che siamo nell’area di insediamento e il batterio è considerato non più eradicabile. A questo punto per ogni euro speso dobbiamo chiederci se ne vale la pena”. E questa domanda se la pone anche Martelli: “Ad oggi non ci sono rimedi. Quindi personalmente non investirei delle risorse su piante già infette. Chiaro che è preferibile la cura all’abbandono e all’incuria. Per questo apprezzo il lavoro che ha svolto Coppola, ma i risultati, che oggi sembrano certamente interessanti, si vedranno solo a lungo termine”.