Una striscia di distruzione e morte, le accuse alla politica, le inchieste. Ma la Liguria e i suoi capoluoghi restano ancora il simbolo delle tragedie annunciate dovute al dissesto idrogeologico
L’ennesima sequenza di un film già visto, lungo 45 anni, che ha segnato la Liguria con una striscia di morti: 88 persone, a Genova e in Liguria, uccise dalle alluvioni, dal 1970 a oggi. Dal Bisagno al Bisagno. La distruzione, la morte, le accuse alla politica, le inchieste. Eppure dopo 45 anni la gente ha ancora paura in quella che nell’immaginario sembra la città delle alluvioni.
La prima alluvione, la più disastrosa, il 7 e l’8 ottobre 1970. I morti nelle strade del centro del capoluogo, devastate dalle piene dei torrenti Bisagno e Fereggiano e a ponente del Leira e del Chiaravagna, sono 44. Duemila gli sfollati. Decine di miliardi di lire dell’epoca i danni materiali. A settembre del 1992, tre morti nel Savonese, travolti dalle acque dei torrenti Quiliano e Letimbro e due a Genova per l’esondazione del torrente Sturla. Anche il Bisagno esce dagli argini senza causare vittime. L’anno dopo, ancora a settembre, il Varenna a Pegli e il Leira a Voltri seminano distruzione e morte: 5 le vittime. Nel novembre 2000 sono sette i morti tra Sanremo, Vallecrosia, Imperia e Ceriana, causati dall’esondazione di alcuni torrenti. Un morto a Savona nell’ottobre 2010.
Il clou dei disastri ambientali negli ultimi quattro anni. Il 25 ottobre 2011, 300 millimetri di pioggia si scaricano in poche ore su Monterosso e Vernazza, alle Cinque Terre. Due morti, travolti dalle acque e trascinate fino al mare. Su Brugnato, in Val di Vara, i millimetri di pioggia sono 500. Si è trattato di un temporale “autorigenerante”. Fra le Cinque Terre e la Val di Vara si contano 7 vittime. A Monterosso sotto accusa un parcheggio in muratura costruito a monte del paese che avrebbe propiziato la discesa dell’acqua a grande velocità in direzione dell’abitato. A Vernazza le pietre dei muretti a secco che circondano le colline coltivate a vite, trascinate a valle, riempiono le stradine del centro e devastano il porticciolo turistico.
A Genova l’epicentro è nel quartiere di Marassi, dove c’è lo stadio. Il 4 novembre, all’ora dell’uscita delle scuole, le acque del Fereggiano, che scendono dalle colline sovrastanti, tracimano e travolgono 6 persone, tutte donne. Shpresa Djala, 23 anni, di origine albanese, e le sue figlie Gioia, 8 anni, e Janissa, di un anno, Angela Chiaramonte, 40 anni, Evelina Pietranera, 50 anni, e Serena Costa, di 19. Nonostante le previsioni avessero annunciato la fortissima perturbazione in arrivo, il sindaco di Genova Marta Vincenzi lascia le scuole aperte. L’ondata di piena travolge la mamma albanese che si era recata con la figlia piccola a prelevare a scuola la figlia maggiore. Stessa sorte tocca a Serena, annegata mentre sta tornando a casa col fratellino. Evelina, invece, muore nella sua edicola.
La procura apre un’inchiesta. Emergono gravi responsabilità da parte degli amministratori, dei funzionari comunali e della Protezione civile. I pm scoprono perfino che i verbali della riunione di emergenza della Protezione civile sono stati taroccati. Per coprire le responsabilità di coloro che avrebbero dovuto assumere decisioni di emergenza che non furono mai prese. Si scopre anche che non erano schierate lungo gli argini del Fereggiano le sentinelle incaricate di segnalare il livello dell’acqua. Se l’allarme fosse stato tempestivo, quelle sei donne sarebbero ancora vive. il sindaco Vincenzi viene rinviata a giudizio con l’accusa di disastro e omicidio colposo plurimo, falso e calunnia. Con lei vanno a processo – ora in corso – l’ex assessore alla Protezione Civile Francesco Scidone, i dirigenti comunali Gianfranco Delponte e Pierpaolo Cha, l’ex capo della protezione civile comunale Sandro Gambelli e l’ex coordinatore dei volontari Roberto Gabutti, a cui vengono contestati solo il falso e la calunnia.
La sequenza si conclude con le alluvioni del 2013, che devasta Chiavari e uccide due coniugi a Leivi, e del 2014: un morto a Bogliasco per l’esondazione del rio Poggio e uno a Mignanego. Il 9 e il 10 ottobre 2014 il Bisagno uccide un infermiere in Borgo Incrociati alle spalle della stazione Brignole. Fuoriescono dagli argini anche il Fereggiano e lo Sturla. La città è impreparata, nessuno ha diffuso l’allerta meteo. Il sindaco Marco Doria, ignaro, è al teatro Carlo Felice. L’assessore alla Protezione civile, in carica da due mesi, Raffaella Paita, si trova a Borghetto Santo Spirito: quando rientra a Genova il dramma si è compiuto. L’unica “fortuna” è che il Bisagno si scatena poco prima di mezzanotte, altrimenti sarebbe una strage. Paita e il direttore della Protezione Civile regionale, Gabriella Minervini sono indagate per disastro e omicidio colposo. Per loro è stato richiesto il rinvio a giudizio.
Messa sotto accusa per l’ignavia e l’incompetenza con cui ha affrontato le emergenze ambientali (e per la cementificazione delle colline), incapace di operare in termini di prevenzione, la politica reagisce. Ripartono i lavori per rinnovare la copertura del Bisagno. Roma impegna i soldi (379 milioni di euro) per finanziare in parte gli scolmatori del Bisagno (165 milioni) e del Fereggiano (5 milioni sul totale di 45), per il rifacimento della copertura del Bisagno (95 milioni) e per il Chiaravagna (13). Purtroppo serviranno anni per vedere in funzione le opere. E la gente ha paura. L’autunno è iniziato. Col suo carico minaccioso di piogge e temporali. A metà settembre il pericolo è stato scampato, grazie all’allarme tempestivo. Ma ora che l’estate è finita?