psicologia e salute mentaleNel 1978 una legge ispirata dallo psichiatra Basaglia ha modificato sostanzialmente il modo di affrontare i problemi psichiatrici in Italia. Prima di questa legge la psichiatria non era a pieno titolo una branca della medicina tanto che i luoghi di cura e ricovero non si trovavano nell’ospedale generale ma in sedi distaccate e autonome chiamate comunemente manicomi. Questi ospedali nel tempo oltre a svolgere interventi di cura avevano assunto anche la funzione di contenitore di vari disagi e di problematiche sociali e di ordine pubblico. Nei manicomi potevano trovarsi persone affette da disturbi psichici ma anche sofferenti per handicap fisico o mentale, individui poveri analfabeti che avevano commesso atti contro la decenza. La legge che disciplinava l’internamento (legge Giolitti del 1904) stabiliva un nesso fra malattia e pericolosità sociale per cui erano potenziali utenti tutti coloro che venivano considerati pericolosi e scandalosi. Le mura del manicomio dovevano servire a mettere al riparo la società borghese da questi pericoli e dalla visione di questo scandalo. La legge Basaglia elimina completamente il concetto di pericolo sociale o di scandalo per affermare che l’intervento psichiatrico, da attuarsi in reparti dentro all’ospedale generale come altre discipline, si rivolge solo alla cura dei malati.

Ho fatto questo breve riassunto della storia recente per spiegare un fenomeno che si sta delineando negli ultimi decenni. Sempre più spesso la società, i mezzi di informazioni e la giurisprudenza stanno spingendo la psichiatria a tornare ad assumere un ruolo di controllo sociale. Una sentenza del 2007 ha condannato un medico psichiatra a quattro mesi di reclusione per omicidio colposo perché un suo paziente ha commesso un omicidio. Al di la degli aspetti peculiari della vicenda emerge l’idea mostruosa, ormai abbandonata in tutto il mondo civile, che la funzione della cura non sia solo per il bene del paziente ma per evitare che lui possa commettere dei reati e quindi, in ultima analisi, per tutelare la società. E’ chiaro che a questo punto chi si occupa di leggi eserciterà mille distinguo per cui si potrà affermare che se una persona è sana sarà meno portata a delinquere e che ogni caso è se stante. Non voglio soffermarmi sul singolo episodio ma ribadire il concetto generale che la cura dovrebbe essere distinta dal controllo sociale.

Parlando con diversi colleghi emerge sempre più il ricatto del controllo sociale e della possibile incriminazione dello psichiatra che si sente condizionato ad attuare cure farmacologiche o ricoveri impropri anche in situazioni come le seguenti:

  • I vicini di condominio di una signora segnalano che lei urla e strepita, hanno coinvolto il sindaco che a sua volta ha allertato le forze dell’ordine e la psichiatria. Anche se non si tratta di una grave patologia l’allarme sociale condiziona le decisioni da prendere,
  • I genitori di una ragazza vogliono che la figlia anoressica venga ricoverata e minacciano di denunciare lo psichiatra, che vorrebbe curarla a casa, “se succedesse qualsiasi problema a domicilio”,
  • La convivente di un ragazzo sa benissimo quali tasti toccare per farlo imbufalire. Visto che lui è i cura per depressione va ripetutamente a parlare con il primario del servizio di Igiene Mentale lamentando che lui si arrabbia e che lei in questi frangenti si sente in pericolo. Vuole che il primario imponga allo psichiatra di prescrivere più farmaci o di ricoverare il convivente altrimenti “si deve assumere la responsabilità di tutto quello che lui farà”.

Il rischio molto concreto è che per attenersi a una forma di medicina difensiva e non incorrere in denunce penali la psichiatria, in breve tempo, torni ad assumere ruoli di controllo sociale.

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