Il Medio Oriente è in fiamme. Bombardamenti ed attentati, l’ultimo ad Ankara contro una manifestazione per una soluzione pacifica della questione curda è avvenuto proprio questo fine settimana. Che ci sia la guerra in questa regione del mondo nessuno lo mette in dubbio, ma che si tratti di un conflittosui generis pochi sono disposti ad ammetterlo. Eppure è proprio questa la definizione migliore.

In primo luogo non esiste una demarcazione chiara, un fronte unico ma tanti. L’aviazione delle forze di coalizione guidate dal presidente Obama bombardano le postazioni dello Stato Islamico mentre a terra le bande armate jihadiste lo combattono quasi porta a porta. A finanziare ed armare questi gruppi armati ci pensano gli alleati del golfo persico, gli stessi che dal 2011 fino all’anno scorso hanno finanziato l’Isis. E questo è un fronte. Lo Stato Islamico e la comunità armata jihadista combattono anche contro l’esercito di Assad, e questo è un secondo fronte. La Russia bombarda chiunque si oppone ad Assad, i suoi missili futuristici sostengono dal cielo le truppe del regime di Damasco ed i fedeli alleati sciiti, gli Hezbollah, finanziati da Teheran. Ecco il terzo fronte.

In secondo luogo questo è un conflitto dove tutti sono nemici ed allo stesso tempo alleati, forse è questo il senso della guerra totale a cui si è riferito Hollande questa settimana. Una situazione chiaramente insostenibile nel lungo periodo perché alimenta l’incendio bellico che consuma la regione. Ed infatti, approfittando di questo caos, l’Arabia Saudita ha invaso lo Yemen, la cui capitale era caduta in mano alle tribù sciite locali, gli Houthi, costringendo il governo pro-saudita a scappare a Riad. Nel Nord dell’Iraq, i curdi combattono lo Stato Islamico e così facendo contano di legittimare le proprie aspirazioni indipendentiste non solo nel Kurdistan iracheno ma anche in quello turco ed iraniano. Quindi nell’estremo sud della penisola arabica e nell’estremo nord dell’Iraq ci troviamo di fronte a due focolai di guerra civile, uno già in fiamme, quello Yemenita, e l’altro ancora solo potenziale, quello curdo. Ecco altri due fronti.

Questo paesaggio terrificante è a poca distanza da casa nostra. I milioni di rifugiati che si riversano nel vecchio continente ce lo ricordano. Ma nessuno sembra preoccuparsi delle conseguenze politiche che la guerra totale in Medio Oriente comporta per noi europei e forse anche per il mondo intero. Nessuno intravede dietro la tragedia umanitaria il vuoto politico che ha prodotto questo strano conflitto.

Ben diversa era la situazione nel Dopoguerra, quando le due super-potenze combattevano la Guerra fredda. Nel 1961, quando è stato eretto il Muro di Berlino, o nel 1963 quando scoppiò la crisi dei missili a Cuba, l’opinione pubblica occidentale temette l’inizio di un nuovo conflitto, che il possesso della bomba atomica da parte delle due super potenze avrebbe trasformato nell’Olocausto nucleare. E questa paura influenzò sia americani e europei che sovietici, esortò i leader di queste nazioni a trovare una soluzione pacifica.

Anche quella odierna una crisi molto pericolosa. Sebbene la minaccia nucleare sembra essere scomparsa dal nostro vocabolario, quest’arma micidiale non solo è molto più potente che in passato ma è in mano a tante nazioni. Tuttavia, il pericolo più immediato è un altro: la destabilizzazione politica di una regione confinante con l’Europa e la Russia, e cioè la guerra totale ai confini della Nato, un fenomeno di lenta e progressiva erosione che se non fermato finirà per penetrare all’interno del blocco.

La moderna guerra totale assomiglia tanto al caos dell’era pre-moderna in Europa. Oggi come allora alla radice c’è la totale assenza di una leadership internazionale in grado di mantenere in equilibrio i vari poteri. Né Washington, né Bruxelles hanno una visione chiara del futuro del Medio Oriente ed improvvisano a seconda di come gira il vento dell’opinione pubblica. Siamo passati dalla politica egemonica di Bush al soft-power di Obama ottenendo gli stessi disastrosi risultati. Ma anche gli europei hanno le loro responsabilità, se è vero che Berlusconi, Aznar e Blair hanno sottoscritto con entusiasmo la dottrina dell’attacco preventivo in Iraq, i politici attuali hanno seguito come fedeli cagnolini lo stile politico di Obama. Troppo presi delle perenni campagne elettorali hanno dimenticato l’importanza della politica estera per la pace nel mondo.

Discorso analogo vale per l’opinione pubblica, in fondo viviamo in regimi democratici ed i cittadini condividono con i propri leader la responsabilità delle decisioni politiche. Troppi presi delle beghe mediatiche ed intontiti dai battibecchi dei social media, europei ed americani non solo non bacchettano chi li governa ma sono incapaci di formulare una loro opinione su quanto avviene in Medio Oriente. Perché? Perché la guerra, anche se ai confini dell’Europa, non ci tocca, l’idea che questo Continente torni ad esserne vittima e che gli Stati Uniti debbano intervenire come avvenne più di settanta anni fa è per gli occidentali assurda. Non ci rimane che sperare che questa illusoria certezza abbia qualche straccio di fondamento nella realtà.

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