Prima il be-pop, poi la svolta jazz/rock, imbevuta di sciamanico tribalismo. Rivoluzioni che hanno cambiato il corso della musica quelle di Miles Davis. E la storia della sua vita debutta sul grande schermo l’11 ottobre nella serata conclusiva del 53esimo New York Film Festival con Miles Ahead, film biografico sul formidabile trombettista jazz. Portare al cinema la leggenda maudit di Davis: facile a dirsi, difficilissimo da realizzarsi. Ma Don Cheadle, caparbiamente, ce l’ha fatta, con tanto di campagna di crowdfunding. E’ lui stesso, che il film l’ha scritto e diretto, a vestire i panni dell’attore protagonista. Insieme a lui, tra gli altri, ci saranno Ewan McGregor, Michael Stuhlbarg ed Emayatzy Corinealdi.
Il titolo del film prende spunto da Miles of head, nome di un suo album del 1957, quando Davis non rinnegava la tradizione. Lì duettava per la prima volta con Gil Evans e la sua orchestra. È il primo biopic dedicato a uno dei giganti della musica del Novecento, autore di capolavori come Kind of blue. Don Cheadle incontrò la musica di Davis in un concerto del 1981 e si trattò, come per milioni di altri appassionati di jazz e di musica totale, di una folgorazione.
“Ammiro il film di Don per tutta una serie di decisioni intelligenti intorno al modo di occuparsi di Miles – ha detto il direttore del New York Film Festival Kent Jones – Ma a commuovermi profondamente sono state altre ragioni. Don sa, come attore, scrittore, regista e amante della musica di Miles, che solo le decisioni intelligenti e le strategie ben panificate ti portano lontano, e che alla fine sono il tuo impegno e la tua attenzione per ogni momento o dettaglio a far venire alla luce un film”.
Pare che al centro di Miles of head ci sia quell’oscuro e non breve periodo in cui il geniale musicista morto nel 1991 si ritirò dalle scene, silenziando la sua tromba e quell’orchestra inafferrabile che gli suonava incessantemente in testa. Dalla metà degli anni settanta all’alba degli ottanta, Miles Davis tacque. Smise di incidere, di suonare dal vivo, di sanguinare musica, barricandosi nel suo appartamento di Manhattan.
Gli anni dell’abuso di alcol e di droghe, del lasciarsi andare, del mal di vivere senza redenzione artistica, dei mille problemi di salute, dei fantasmi più neri. Questo docufilm illuminerà a jazz soprattutto il periodo terminale della sua crisi di rigetto, quando l’estasi e il tormento stavano per tornare in azione. A beneficio di tutti noi. Non mancheranno rimandi ai suoi esordi, e ai suoi anni ruggenti, e a tutti i suoi brani più celebri, diventati standard gloriosi e sfuggenti, impossibili da addomesticare.