Nel corso degli ultimi dieci anni le alluvioni in Italia son costate la vita di 131 persone. Le peggiori, nessuna esclusa, si sono verificate in questo periodo, quando nel BelPaese, ogni autunno, sembra che piova come mai prima. Per il Cnr solo nel 2014 son stati 10 mila gli sfollati e i numeri sono in crescita costante. Dal 1980 i danni provocati dalle esondazioni sono passati da 50 a 200 miliardi di euro. Gli esperti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) hanno calcolato che l’effetto serra sarà in grado di amplificare la potenza delle catastrofi a tal punto da causare danni per oltre mille miliardi di dollari. Come se non bastasse oltre le conseguenze umane, ambientali e socio-economiche, vi sono anche quelle finanziarie. I disastri naturali stanno influenzando il rating e lo spread, compromettendo i tassi di interesse e i flussi di investimenti diretti verso il nostro paese.
Secondo l’Indice di Resilienza Globale 2015 stilato da Oxford Metrica, l’Italia risulta 49° al mondo per la sua capacità di reazione e adattamento a crisi inerenti la filiera produttiva. L’indice è una media di 9 principali indicatori economici, ambientali e sociali, che considerano vari fattori, dalla ricchezza pro-capite sino alla corruzione e il dissesto naturale nei diversi paesi. Tuttavia, se guardiamo nella parte relativa alla predisposizione ai cataclismi ambientali, l’Italia si classifica 92°. Non temete dunque, non siamo il Paese più a rischio di disastri naturali, quello dipende poco da noi. Siamo solo tra i peggiori nella capacità di gestire eventi di questo tipo, al 120 posto su 130 nazioni, precedessori di Turchia, Kazakistan e del Giappone post-Fukushima. L’Indonesia vittima nel 2004 di uno degli eventi naturali più catastrofici dell’epoca moderna, ha un’esposizione a cataclismi ambientali ben maggiore dell’Italia, ma vanta un livello di reattività che la pone circa 30 posizioni avanti a noi.
Idee per contrastare un tale andazzo ovviamente fanno parte del dibattito pubblico da decenni. Si dice che servirebbe una politica nazionale capace di sradicare la corruzione, il clientelismo e gli appalti pubblici al ribasso, magari seguendo la legislazione tedesca, incentivando controlli e investimenti lungimiranti vantaggiosi non solo nel breve periodo. Si dice che servirebbero piani di prevenzione e risposta che non si limitino ad una dichiarazione di “stato di emergenza”, magari seguendo la maestria degli olandesi, cultori secolari del controllo delle acque, capaci di dar vita ad un intero paese sotto il livello del mare. Sorge dunque spontaneo chiedersi: se lo Stato è lento a reagire, noi cosa possiamo fare? Fortunatamente non ogni speranza è spersa, perché alternative coraggiose arrivano da comunità, università e aziende attraverso esempi e studi replicabili già ora nella gran parte dei contesti locali.
Sin dal 2002, Report parlava di un tecnologia stradale vecchia 20 anni in grado di ridurre gli incidenti del 25%. Un asfalto drenante che ancora oggi pare sconosciuto ai più. Attraverso la cooperazione tra due aziende toscane, il Gruppo Granchi e la Saver, è nata “Drena” una pavimentazione stradale che presenta gli stessi livelli di permeabilità della ghiaia sciolta, capace di abbattere i rischi legati a congelamento e aquaplaning. Una tecnologia che si inserisce oggi nel più ampio discorso sulle Neostrade e che presenta numerosi vantaggi: dalle colorazioni che riducono le alte temperature dell’asfalto e le emissioni relative all’usura dei pneumatici, sino all’assorbimento di polveri sottili, come le famigerate particelle cancerogene Pm 10, 5 e 2.5. Un prodotto simile è stato realizzato anche dall’inglese Lafarge Tarmac, un asfalto, il Topmix, capace di drenare oltre 4mila litri d’acqua in un minuto e ridurre drasticamente l’impatto di inondazioni ed alluvioni.
Conferma della giusta rotta intrapresa dall’azienda arriva anche dal comune di Bologna da cui parte il progetto europeo BlueAp sull’adattamento ai cambiamenti climatici, un’iniziativa innovativa e partecipativa che vuole fornire supporto ad autorità, cittadini e stakeholders del territorio per stimolare l’attuazione di buone pratiche. Per prevenire le alluvioni il progetto punta sull’incentivare la costruzione di pavimentazioni permeabili, oltreché di aree e tetti verdi. Per lo sviluppo di tali iniziative un fondamentale supporto arriva anche dal mondo accademico con il progetto Freeman(Flood Resilience Enhancement and Management) uno studio che nel tentativo di implementare la direttiva europea sui rischi di alluvioni (Frd) analizza e compara la situazione delle Fiandre, della Germania e dell’Italia cercando di definire degli indicatori che aiutino a comprendere le cause istituzionali e ambientali del fenomeno allo scopo di ridurre le vulnerabilità dei territori. In breve il progetto si fonda sul trovare nuovi modi di minimizzare il possibile impatto di alluvioni, prendendo misure non-strutturali.
Purtroppo come sappiamo, negli ultimi 40 anni il dissesto idrologico italiano non è stato attenuato, anzi, l’edilizia sfrenata complice d’abuso e condono non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Questi esempi ci mostrano come dalle comunità, aziende e università possa partire il cambiamento, educando alla prevenzione e alla resilienza come miglior risparmio e scoraggiando la competizione al ribasso. Quella che ci costringe, a noi e i nostri figli, a vivere una vita al ribasso.