Il primo ministro Ahmet Davutoglu ha annunciato che i responsabili sono due attentatori suicidi di sesso maschile: "Siamo vicini a un nome, probabilmente dello Stato islamico". La Turchia si fermerà per tre giorni in segno di solidarietà e per continuare a manifestare
Sono due attentatori suicidi i responsabili dell’esplosione che sabato mattina ha colpito una manifestazione pacifista ad Ankara, e il primo sospettato è lo Stato islamico. A comunicarlo è l’ufficio del primo ministro turco Ahmet Davutoglu. Il premier ha anche annunciato che le autorità sono vicine all’identificazione di uno dei due kamikaze. Ancora incertezza sul numero delle vittime: le cifre diffuse dall’ufficio del premier turco sono diverse da quelle del partito filo-curdo Hdp. Nei prossimi tre giorni il Paese si fermerà per omaggiare le vittime e continuare a manifestare.
”Sono in corso tentativi di identificare i corpi di due terroristi di sesso maschile che, è stato accertato, erano attentatori suicidi – si legge in un comunicato ufficiale – Sono in corso test del dna e siamo vicini a un nome, molto probabilmente vicino allo Stato islamico”. Non c’è stata ancora alcuna rivendicazione dell’attentato, ma già domenica circolavano ipotesi sul coinvolgimento dell’Isis a causa delle analogie con l’attentato di Suruc del 20 luglio: indiscrezioni mediatiche ipotizzavano che uno degli attentatori suicidi fosse proprio il fratello del kamikaze responsabile dell’esplosione dell’estate scorsa. Davutoglu, in un’intervista alla televisione privata Ntv, ha detto che l’obiettivo della strage era influenzare l’esito delle elezioni anticipate del primo novembre e che saranno presi i provvedimenti necessari se durante l’inchiesta sull’attacco dovessero emergere delle falle nel sistema di sicurezza. Tuttavia, ha detto il primo ministro, “le elezioni avranno luogo, qualsiasi siano le circostanze“.
La polizia di Ankara, intanto, ha lanciato operazioni antiterrorismo che hanno portato a una cinquantina di arresti di sospetti membri dello Stato Islamico in diverse province del Paese. In particolare, nella provincia meridionale di Adana l’unità dell’antiterrorismo ha arrestato sette persone dopo aver condotto raid in diverse case. Altri otto sospetti, accusati di avere contatti con i jihadisti in Siria e in Iraq, sono stati fermati nella provincia di Antalya, mentre nella provincia sudorientale di Sanliurfa sono finite in manette 14 persone. Nella provincia di Izmir sette sospetti sono stati arrestati con l’accusa di essere in possesso di materiale per la realizzazione di bombe.
Le vittime dell’attentato di Ankara a cui le autorità turche hanno dato un nome sono finora 91, sui 97 morti del bilancio ufficiale. Domenica il partito Hdp, che parla di 128 morti, aveva diffuso una lista di 120 nomi. Intanto, con lo slogan “Fermiamo la vita”, lunedì e martedì centinaia di migliaia di turchi si asterranno dalle loro attività quotidiane in solidarietà con le famiglie delle vittime e per partecipare alle decine di manifestazioni organizzate in tutto il Paese. A proclamare due giorni di sciopero erano state inizialmente alcune sigle di categoria, tra cui la più grande associazione dei medici turchi, quella di ingegneri e architetti e i sindacati del settore pubblico. Domenica si sono mobilitati anche i cittadini comuni, che attraverso l’hashtag #HayatiDurduruyoruz, appunto “Fermiamo la vita”, hanno deciso di annullare i propri impegni.
Nel frattempo, il partito filo-curdo Hdp sta valutando la possibilità di annullare tutti i comizi elettorali e gli altri appuntamenti di piazza in programma nelle varie città della Turchia, mentre il partito di maggioranza Akp ha deciso di sospendere fino a venerdì 16 ottobre tutti i raduni pubblici organizzati in vista delle elezioni.