Ambiente & Veleni

Centrali a biomassa: i cittadini di Novaledo al bivio tra occupazione e salute

biomasse

Novaledo è un paesino della Valsugana, in Trentino. Non è un luogo molto noto, poiché non rientra nel circuito del turismo tipico di questa provincia. Tuttavia, in questi giorni assurge alle cronache locali molto frequentemente, poiché molti cittadini sono preoccupati per l’imminente e possibile costruzione di una centrale a biomassa, a servizio di una grande e nota realtà produttiva della zona, una fabbrica di marmellate famosa, la Menz e Gasser.

L’azienda ha avviato la procedura di richiesta autorizzativa, ottenendola, per installare una centrale a biomassa legnosa, per produrre energia termica per il proprio ciclo produttivo e energia elettrica da rivendere alla rete, con lo scopo di incamerare i forti incentivi che vengono riconosciuti a queste tipologie di centrali elettriche, classificate come fonti rinnovabili. Ho già scritto, qualche tempo fa, un post esplicativo su questo tema, spiegando che molte centrali a biomassa non starebbero in piedi economicamente senza incentivi. Il punto però, non è la centrale a biomassa in quanto tale, bensì per quale motivo viene realizzata e se serve ad un bene collettivo o solo per lucro.

Mi spiego meglio: la Valsugana è una zona che sta subendo un elevato inquinamento ambientale, dovuto ad un traffico veicolare intenso, a causa della presenza di un’acciaieria che secondo i comitati cittadini creerebbe moltissimi problemi ambientali; aggiungere una nuova fonte di emissione di polveri sottili in questa zona già compromessa, preoccupa non poco la popolazione locale. La centrale in questione non andrebbe a coprire il fabbisogno energetico della popolazione, magari realizzando una rete di teleriscaldamento e non sostituirebbe la miriade di stufe e stufette che contribuiscono non poco all’inquinamento locale, bensì sarebbe aggiunta a queste ultime. Ecco perché diventa insostenibile in questo contesto. Ecco perché la gente protesta, preoccupata per la salute dei propri figli.

L’azienda che vorrebbe installare nel proprio stabilimento questa centrale a biomassa, rappresenta una realtà di riferimento per l’occupazione locale, garantendo posti di lavoro e indubbio prestigio alla zona. Ha identificato, in questo investimento, una via per abbattere i costi energetici della propria produzione. Scelta legittima, ma non ha considerato il contesto in cui si cala tale realizzazione tecnica. Un luogo già fortemente compromesso da situazioni già al limite, in fatto di presenze di nanopolveri.

Nascono i comitati locali, che avviano una protesta, una battaglia per esortare l’azienda a rivedere tali scelte tecniche, che destano grandi timori per la salute pubblica. Non vi è astio, da parte dei comitati, nei confronti dell’azienda, ma molti cittadini della zona sono preoccupati dall’inevitabile incremento di polveri sottili che tale nuova centrale determinerebbe. E la provincia di Trento? L’ente pubblico ha ribadito più volte che, dove fosse presente il metano, non avrebbe incentivato la costruzione di centrali a biomassa, in quanto ritenute non compatibili con il territorio. Ma gli investimenti industriali vanno sostenuti, perciò via lo stesso ai contributi a questa azienda che, indubbiamente, sta investendo sul territorio per ampliare lo stabilimento e questo è positivo, ma lo fa perseguendo una strada che non è sostenibile per la zona.

Una centrale a biomassa, fatta per incamerare gli incentivi dal Gse per la produzione di energia elettrica, stimati in circa 1.600.000 euro lordi annui, ma che brucerà quasi 19.000 tonnellate l’anno di legna, si dice proveniente dalla zona, ma la zona non ha la sostenibilità per dare tanto combustibile per molti anni. E allora cosa si brucerà nel futuro? La via futura potrebbe essere la combustione di Css (Combustibile solido secondario) che verrà fabbricato dalla provincia di Trento a fine ciclo dei rifiuti? Il Css è diventato “biomassa” per decreto, una centrale a biomassa è, costruttivamente, simile a un inceneritore, il prodotto verrà creato in loco o a pochi chilometri. L’intreccio tra i percorsi è solo una congettura per ora, ma una centrale a biomassa, per rendere, deve bruciare e se la legna finisce, cosa brucia? Per ora il Css non è un obiettivo di tale centrale, ma nel tempo potrebbe diventare davvero una valida alternativa in caso di carenza di legna. La provincia si scarica dei rifiuti, che diventano “biomassa”, l’azienda trova l’alternativa alla carenza di legna locale. Forse la gente ha ragione a preoccuparsi , in questa valle che soffre già di elevate situazioni di inquinamento ambientale.