Questo post ha almeno due scopi. Primo, riparare a un danno. Secondo, risistemare il mio karma. Terzo, probabilmente, ma qui andiamo nel campo dell’insondabile, sollevare di un peso persone che, bene o male, fanno il loro, con o senza di me, decisamente meglio senza di me.

Allora. Un anno fa, suppergiù, su questo blog, attaccavo in maniera piuttosto diretta le Targhe Tenco. Lo facevo giocando su un paradosso, cosa che, col tempo ho imparato a capirlo, in rete viene solitamente colto da una percentuale talmente impercettibile da non fare statistica. In sostanza, dicevo che le liste dei finalisti di quello che viene considerato, a torto o a ragione il più importante riconoscimento per la musica d’autore non rispondevano affatto alla contemporaneità. Lo dicevo dicendo che, tra il disco di Brunori SaS e quello dei Dear Jack preferivo il secondo. Spiegavo poi il perché. La cosa non è passata sotto silenzio, ma non è di questo che voglio tornare a parlare. Nei fatti alcuni degli organizzatori delle Targhe mi hanno scritto subito dopo il mio post, invitandomi, per quest’anno, a far parte dei 200 giurati, per poter dire la mia, per portare, cito tra metaforiche virgolette, lo sguardo differente di un outsider. Ci ho pensato circa un anno, poi ho accettato, sapendo che stavo sbagliando.

Il meccanismo delle Targhe Tenco, che era il problema che volevo evidenziare l’anno scorso, non sarebbe certo cambiato per il mio ingresso. Sono vanitoso, ma non stupido, credo. Il meccanismo funziona così. I dischi che possono essere presi in considerazione sono quelli usciti nel corso di un anno che va da inizio settembre di un anno alla fine di agosto dell’anno successivo. Tutti. A dar un’occhiata ai vincitori delle Targhe da che questo premio esiste, verrebbe da dire che non proprio tutti concorrono. Perché ci sono assenze che stridono come unghie sulla lavagna. Anche di più. Recentemente, probabilmente perché la fallacia di questo meccanismo, certi personalismi della commissione, sono evidenti agli stessi organizzatori, è stato introdotto un comitato di saggi, venti giornalisti musicali che si premurano di fare una prima selezione, arrivando a indicare circa cinquanta titoli per le cinque categorie in gara. Miglior Album in Assoluto, Miglior Opera Prima, Miglior Album in dialetto, Migliore canzone in assoluto, Miglior album di canzoni altrui. Poi ci sono duecento giurati, sempre giornalisti musicali (ma non giornalisti che facciano anche da ufficio stampa a cantanti, regola che vale anche per i venti della prima commissione). Io sono, o meglio sono stato, uno dei duecento della giuria più ampia. Il mio nome è comparso in una lista a fianco di vecchi coi quali avrei serenamente continuato a non aver nulla a che fare, persone che conosco e stimo e un sacco di persone che, ovviamente, non ho avuto il piacere di conoscere. Noi duecento abbiamo ricevuto una lista, intorno al 9 settembre, e il 19 dovevamo votare massimo tre voci per gruppo. Poi, una volta contati i voti, a noi duecento giurati arriva una seconda lista con sei nomi per gruppo. Si rivota, un’altra settimana circa di tempo, e si arriva ai vincitori.

Ecco il mio primo problema. Mi ero mentalmente appuntati i nomi di quelli che avrei votato nelle varie categorie, da Ruggeri a Rancore, gente di cui si è parlato qui. Normale, direi, sapendo di andare a far parte di una giuria che si occupa di canzone d’autore. Arriva la prima lista e praticamente in quelle che vengono solitamente identificate come due delle tre categorie più importanti Miglior Album in assoluto e Migliore Canzone, non ho trovato nessuno dei nomi della mia lista. Uno potrebbe dire, va be’, non è detto che i tuoi gusti coincidano con quelli dei venti commissari. Sacrosanto. Peccato che molti dei nomi in lista mi apparissero del tutto sconosciuti. Strano, ho pensato, considerando che mi occupo a tempo pieno di musica, con particolare attenzione a quella italiana. Le assenze pure erano altrettanto strane. Nomi importanti, a mio modo di vedere, e non solo mio, imprescindibili. Ho provato a segnalare la cosa, sui social, ma essendo entrato come outsider, come outsider sono stato trattato. Con quella bonarietà non troppo bonaria che si riserva ai rompiscatole. Allora ho deciso di dichiarare quali nomi avrei votato io, sui sociale, e mi sono limitato a indicare i nomi che ritenevo in effetti corrispondenti alla dicitura Migliore esordiente, Simona Norato e Piergiorgio Faraglia, e Migliore album canzoni altrui, Tosca, Rusties e Chiara Buratti. Gli altri non li ho votati non perché nelle liste non avessi trovato nomi interessanti o importanti, ma perché non li ritenevo degni di quelle diciture. Ho anche segnalato, a più riprese, il mio malessere nel trovare, nelle varie liste, nomi legati in qualche maniera a alcuni componenti del Tenco, ma mi è stato fatto notare che ero io a pensar male. Che se erano presenti certi nomi e assenti altri non era certo per colpa della commissione, ma per via del meccanismo, che non era pensabile io sospettassi di magheggi, né si ipotizzava una certa sudditanza psicologica di moggiana memoria.

Riesco a scatenare un’altra piccola polemica, riguardo la partecipazione di Carmen Consoli tra gli ospiti del Premio Tenco e contemporaneamente anche nella lista delle Migliori canzoni, con ben quattro titoli su cinquanta. Ma come al solito, se uno pensa male vive male.
Allora ho deciso, per il secondo turno, di cambiare strategia. Avrei ovviamente votato i nomi che avevo già spinto in prima fase, anzi, il nome, quello di Simona Norato (Piergiorgio Faraglia lo avevo già votato al Lunezia Opera Prima, un po’ per uno), e avrei dato altre indicazioni scegliendo dentro il listino, seppur continuando a denunciare le incongruenze del sistema. Ho scelto quindi di votare Benvegnù e il suo Earth Hotel, poi Gigi Meroni di Filippo Andreani come migliore canzone, Cesare Basile come album in dialetto e Federico Fiumani come album di cover. Ho dichiarato i miei voti sui social. Poi mi sono riservato la decisione di lasciare la giuria, una volta saputi i vincitori. Nel mentre, in queste due settimane e mezzo, ho ricevuto qualcosa come quattrocento mail e wetransfer da parte di uffici stampa e artisti che promuovevano i propri titoli. Nessuno dei nomi votati rientra tra quanti mi hanno richiesto un voto.

Escono i vincitori, e solo Basile, tra quanti votati da me, riceve un premio. Ci sta. Decido di aspettare la chiusura del premio per rassegnare le mie dimissioni. Non mi riconosco in questi meccanismi. Non mi riconosco soprattutto nei parametri artistici delle Targhe. Sopravviveremo tutti, penso. Però succede che vengano pubblicate le votazioni, con la specifica di chi ha votato chi. Il mio nome è assente. Essendo io il rompipalle di cui sopra, in diversi mi segnalano la cosa. Vado a controllare e mi accorgo che non ho mai votato. Gmail, intasato da tutte le mail dei vari uffici stampa e artisti, è andato in tilt. La mail è finita in bozze. Nessun complotto, ovvio.

Fin qui, uno dice, pazienza. Peccato che Gigi Meroni di Filippo Andreani abbia perso sul trio Samuele Bersani, Pacifico e Francesco Guccini (sì, Guccini ha vinto e a Guccini è dedicato il Premio, lo so) e Cristina Donà. In pratica, per colpa mia e di Gmail Gigi Meroni, brano ultra-indipendente, non ha vinto. Mi struggo. Rendo pubblica la cosa. Spedisco al Tenco lo screenshot delle mie bozze, con data e ora di quella che io pensavo fosse la spedizione. Rispedisco i voti. Si tratterebbe, in fondo, di allargare il numero dei vincitori a tre. Chiaro, Filippo Andreani non è un nome di richiamo come il trio o Cristina Donà, e neanche un nome vicino al premio, pensate se fosse successo, per dire, a Max Manfredi. Ma in fondo tecnicamente avrebbe vinto anche lui. E lui, a differenza dei quattro nomi in effetti vincitori, trarrebbe dal premio un vantaggio concreto, si farebbe conoscere. Non succede ovviamente nulla. La piccola casa discografica di Andreani mi dice che, in sostanza, il motivo per cui non succede nulla non è perché si pensi in una mia malafede, messa a tappeto dal mio autosputtanarmi sui social, quanto dal fatto che questo costituirebbe un precedente. Come dire: sono entrato erroneamente per sbaglio in aeroporto con una pistola e nessuno se n’è accorto, ma se domani lo facesse volontariamente per dimostrare che la sicurezza è fallace?

Quindi niente Targa. Ok. Ciò nonostante nessuno ha pensato di invitare il povero Filippo Andreani, che in rete ha più volte speso parole bonarie nei miei confronti, nonostante, suppongo, l’amarezza, al Tenco, anche solo per eseguire Gigi Meroni. Nessuno dei vincitori ha chiesto che il premio fosse assegnato anche a Andreani, nessuno ha rinunciato, lo ha invitato a duettare. Niente.

Quindi eccolo, qui sotto, il brano Gigi Meroni. Ascoltatelo. E che questo serva, per quel poco che può, a lenire il dolore da me causato.
Il fatto che un premio venga perso per un voto, e in questo modo, è molto in sintonia con il protagonista del brano, d’accordo, ma, diamine, Filippo ha fatto un album, La prima volta, che merita di essere ascoltato tutto, non fermatevi qui.

Io con queste righe rassegno le mie dimissioni. Penso il meccanismo non funzioni, e voglio ritenermi libero di dirlo senza lasciar adito a dubbi o sospetti. Faccio seppuku, come Yukio Mishima. Ecco il mio suicido da giurato. Amici delle Targhe Tenco, siete ancora in tempo. Prendete le mie spoglie come ostaggio e lasciate Filippo, che per la cronaca non conosco di persona, libero di salire su quel palco, in una delle tre serate dal 22 al 24 ottobre.

Con questo vi sollevo dalla mia presenza, e il mio karma torna a respirare, evitandomi, nella prossima vita, di reincarnarmi in un fan de Il Volo.

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