Ma c’era una cosa che non mi andava giù: le dimostrazioni in cui a un certo punto si dice “per definizione”. Ma come! Mi fai tutto un costrutto logico, perfetto, cristallino, poi la butti su qualcosa che non ha dimostrazione? Il guaio è che non avevo minimamente capito che cosa fossero le definizioni in matematica. Credevo che fossero descrizioni eleganti di concetti che comunque erano lì, presenti da sempre: angoli, circonferenze, poliedri eccetera. Non avevo capito che c’è una reazione a catena rovesciata – analoga a quella delle dimostrazioni – in cui ogni ente non viene concepito come a sé stante, ma si rifà ad enti precedenti, fino a ridurci ad un pugno di concetti primitivi, cioè quelli su cui dobbiamo intenderci sulla base di un’esperienza comune. La definizione non è una descrizione di un ente già esistente: è la creazione di quell’ente! La cosa che le assomiglia di più è una subroutine, o una macro di Excel: finché non ne scrivi le istruzioni, non esiste. Sbagliavo perché non si può “dimostrare una definizione”. Non c’è bisogno, per esempio, di dimostrare che i punti di una circonferenza sono equidistanti da uno stesso punto, perché “circonferenza” e “insieme dei punti aventi una data distanza da uno stesso punto” sono la stessa cosa: “circonferenza” è solo un’abbreviazione.
Sto dicendo cose ovvie? Ogni anno ho la conferma che non è così. Infatti faccio votare le mie matricole sulla verità o falsità di due affermazioni: 1) il numero intero zero è pari, 2) 3≤5 (non trovo umiliante fare domande da terza media; trovo deprimenti le risposte!). Entrambe le votazioni danno una sostanziale parità; e se lasciassi libero corso alla discussione si arriverebbe a baruffe calcistiche. Ma io taglio corto: non c’è spazio per una discussione, perché non ci può essere una opinione in merito. Qual è la definizione di “pari”? Qual è la definizione di “≤”? Un numero intero n è definito pari se esiste un intero m per cui n=2*m. Siccome 0 = 2*0 (e 0 è un intero) non ci può essere discussione: zero è pari. Un’opinione, una discussione hanno senso sull’opportunità di una definizione invece di un’altra. Ma una volta che la definizione è data, stop! Non ti va bene che 0 stia insieme a 2, 4, 6,…, -2, -4, -6,… ? Nessun problema: usa la stessa definizione di prima ma con la condizione che m sia diverso da n. Solo che questi numeri (fra cui lo zero non c’è più) non li puoi chiamare “pari”; dovrai inventarti un altro aggettivo. Stessa cosa per “a≤b“, che è definito come “a<b oppure a=b“. Siccome 3 è minore di 5 e la congiunzione “oppure” è inclusiva (vel, non aut, per intenderci) l’asserzione è vera.
La chiarezza sulla natura delle definizioni è essenziale in giurisprudenza (me lo confermò Carofiglio in un incontro con i lettori!), ma anche in discipline che si confrontano con aspetti della realtà esterna: fisica, chimica, biologia, fino alla medicina. Parliamoci chiaro: a un ingegnere non gliene frega niente che zero sia pari o no; ma è essenziale che sappia di che cosa parla, su che cosa fa i conti. Insisto: vorrei che prima dell’integrazione per parti o simili delizie, i nostri potenziali allievi imparassero alle superiori il carattere non descrittivo ma creativo delle definizioni e concedessero loro l’attenzione che riservano alle temute dimostrazioni. Vi lascio con una provocazione: il numero 1 è primo o no? (Non deludetemi…).